Settanta case che fanno gola a tanti, ma che tra veti incrociati, nodi legali e problemi di natura fiscale rischiano di restare “congelate”. È l’infelice destino del cosiddetto “tesoro” di Alleanza Nazionale, un patrimonio che oltre a una sessantina di milioni di euro “liquidi”, comprende anche beni immobili del valore di oltre un centinaio di milioni. Un “bottino” il cui destino dovrebbe essere discusso nel prossimo CdA della Fondazione An, fissato per giovedì 26 giugno. Un Consiglio d’Amministrazione che, viste le premesse, si preannuncia infuocato. Gli antefatti sono noti. Nel corso del 2013 la Fondazione decise di pubblicare un bando per mettere gli immobili a disposizione di chiunque volesse avviare un progetto aderente ai valori della stessa An. L’operazione, ovviamente, non aveva esclusivamente finalità “morali”. Fittando gli immobili – seppur a prezzi agevolati – si sarebbe reso redditizio un patrimonio che fino a quel momento aveva costituito solo un costo: in termini di tasse, spese di condominio e assicurazioni.
La legge che ha modificato il finanziamento pubblico ai partiti, però, ha cambiato il quadro e, in attesa di chiarimenti giuridici, la Fondazione si è vista costretta a ritirare il bando. Sono passati alcuni mesi senza che fatti nuovi intervenissero, così il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri, membro del CdA, ha preso carta e penna e ha scritto agli altri consiglieri per esigere un chiarimento sulla situazione di ogni immobile. Il senso delle sue richieste era: in che condizione sono gli edifici? C’è qualcuno che li occupa? Vi sono sedi di movimento politici? In definitiva: cosa si può fare per metterli finalmente a reddito? A Gasparri aveva risposto il presidente della Fondazione Franco Mugnai, annunciando la creazione di una “task force” – composta a sua volta da diversi consiglieri – a cui erano stati affidati 50.000 euro per studiare una strategia economicamente vantaggiosa per la gestione degli immobili che passasse anche dal trasferimento degli stessi nella piena disponibilità della Fondazione. Attualmente, infatti, la maggior parte delle settanta abitazioni è ufficialmente affidata a due società immobiliari: la Italimmobili srl e la Immobiliare Nuova Mancini srl.
Ma è proprio sul passaggio delle proprietà alla Fondazione che si incontrano i primi problemi. A farli emergere è Francesco Biava, vice di Mugnai nonché responsabile della “Nuova Mancini”. Nella lettera con la quale ha risposto all’ennesima sollecitazione di Gasparri, Biava scrive che gli oneri fiscali a carico della società immobiliare (Irap ed Ires) “sono calcolati sul valore “storico” degli immobili. Un eventuale scioglimento delle società immobiliari, come discusso in CdA, per far confluire tutti gli immobili direttamente nella Fondazione, porterebbe con sè l’obbligo di una rivalutazione catastale degli immobili stessi, ad occhio 10 volte superiore all’attuale, la cui plus valenza comporterebbe una tassazione pari al 27,5% della stessa”. Non si tratta proprio di spiccioli. Basti pensare a quanto ha pagato di imposte nell’intero 2013 la “Nuova Mancini”: circa 24 mila euro di Imu e altri 35 mila tra Irap e Ires. Cifre destinate a moltiplicarsi in caso di rivalutazione catastale.
A questi vanno aggiunti altri 18mila euro di spese condominiali e 8mila euro di assicurazioni, per un totale di poco inferiore ai 90mila euro annui. Se si considera che la stessa “Nuova Mancini” gestisce solo 17 dei 70 immobili della defunta An, si comprende come i costi per la Fondazione arrivino a sfiorare il mezzo milione l’anno. Decisamente troppo per pensare di andare avanti così. Ma oltre all’aspetto economico c’è quello giuridico. Perché se nelle sedi della defunta An fosse ospitata “gratuitamente” qualche associazione di natura politica, si rischierebbe di violare la nuova legge sul finanziamento ai partiti. Da questo punto di vista, almento per quanto riguarda la “Nuova Mancini”, Biava tranquillizza Gasparri: “Nessuno dei 17 cespiti immobiliari – scrive ancora – risulta essere sede di un partito politico. Cinque risultano pienamente utilizzate a vario titolo dai custodi, tre sono utilizzate dai custodi solo occasionalmente, tre non sono utilizzate e restano a disposizione, tre non sono utilizzate e sono inagibili per vari motivi, due sono senza custode territoriale e le chiavi sono nella disponibilità della Nuova Mancini, una è occupata “sine titulo” ed è stata già da tempo aperta una causa per rientrarne in possesso”.
Per quanto riguarda le sedi gestite invece dalla Italimmobili sono attesi invece chiarimenti entro il CdA del 26. In caso contrario c’è già chi, tra i consiglieri, vorrebbe trasferire la documentazione alla Prefettura di Roma, cui spetta il riconoscimento giuridico delle fondazioni. “A questo punto – spiegava Gasparri nei giorni scorsi – sarebbe meglio riconsegnare tutti gli immobili allo Stato”. Si eviterebbero altri scontri e problemi legali. Ma chi rinuncerebbe a un tesoro di oltre cento milioni di euro?