M5S, rottura non è ancora scissione: minoranza in ordine sparso

Casaleggio: chi ha vinto non sia arrogante. Di Maio: rispetto per Di Battista

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Irrilevante per le sorti del governo Draghi, la fronda nel Movimento 5 stelle potrebbe però influenzare in qualche modo gli equilibri politici in Parlamento indebolendo la forza contrattuale della pattuglia stellata (ad oggi 92 senatori e 190 deputati), qualora prendesse corpo in modo strutturato. Per ora siamo ai singoli no annunciati via social network o agli addii sentimentali come quello di Alessandro Di Battista: “E’ stata una bellissima storia d’amore”. E’ forse il primo caso nelle vicende politiche italiane in cui il leader di una minoranza interna che vale il 40 per cento di una forza politica rappresentata nelle Camere rinuncia a far valere le sue ragioni, dentro o fuori dal partito. “Non sono il capo di nessuno”, ribadisce oggi.

Così, per ora i “suoi” raccontano che la componente organizzata non esiste ancora: “Ci sono chat e contatti telefonici a geometria variabile, non c’è una cosa istituzionalizzata. E’ un po’ come Facebook, sono tante sfere che si intersecano”. A palazzo Madama da giorni si parla di “una decina” di senatori che discutono in concreto di un gruppo parlamentare di opposizione (c’è l’ostacolo regolamentare, finora non superato, del simbolo elettorale, che deve essere stato presente sulla scheda del 2018). Nessuno, però, si sbilancia sui numeri: al dunque saranno “poche unità”, secondo un senatore “governista”. Dall’altro lato della barricata interna dicono invece che “molti sono tentati di non votare la fiducia a Draghi ma sanno che è un punto di non ritorno”.

La “diserzione” di Di Battista non scoraggia comunque gli esponenti più in vista dell’area critica. “Non ce l’ho con lui, è sempre stato un libero pensatore – commenta, raggiunto telefonicamente, Pino Cabras, deputato No Draghi senza incertezze – ma i suoi sono ragionamenti diversi da quelli di chi per ruolo è chiamato a fare politica in maniera diretta. Abbiamo segnali molto forti, chi ha preso posizione in questo periodo ha ricevuto tante telefonate di attivisti, intellettuali e gruppi che vogliono reagire”. Al momento non c’è una componente organizzata “ma con gli strumenti tecnologici nuovi ci sono grandi possibilità di aggregazione rapida, vedi il V Day di pochi giorni fa, nel giro di 24 ore raccolte 1000 adesioni all’iniziativa on line”. La rottura, o scissione che dir si voglia, precisa comunque Cabras, “è solo il piano B se non ci vengono dati spazi per cambiare il M5S”.

Ma agli spazi per cambiare, l’opposizione interna al M5S crede poco. Bianca Laura Granato, ad esempio, è tra i senatori che potrebbero far mancare il loro voto: “A coloro che hanno votato Sì – accusa, commentando l’esito della consultazione on line degli iscritti al Movimento sulla fiducia al governo Draghi – va il merito di aver provocato l’esodo di persone come Alessandro Di Battista. Non è con la violenza di una votazione collettiva abilmente e sapientemente manipolata che tieni unito un gruppo. L’esodo è iniziato e purtroppo non si arresterà”. Il suo collega a palazzo Madama Mattia Crucioli di fatto annuncia l’addio promettendo fedeltà solo “al mandato elettorale. Voterò no a questo governo e continuerò ad informare, da questa mia pagina, chi ricerca un punto di vista libero ed imparziale”.

Davide Casaleggio, finora molto vicino alla battaglia di Di Battista e protagonista di un duro scontro con Beppe Grillo anche sul quesito che poi è stato sottoposto agli iscritti, lancia un appello a evitare una resa dei conti. “Chi oggi guida l’azione politica del M5S dovrà fare in modo di non gestire questo momento con arroganza oppure la larga parte contraria alla scelta di ieri potrebbe allontanarsi”. Ma Di Maio commenta l’addio di Di Battista, amico e partner di tante battaglie, con un post tutto virato sul personale: “bei ricordi” e momenti “tristi e difficili”. “Per la scelta di Alessandro – avverte – chiedo rispetto”. Per il 40 per cento degli attivisti che ha votato contro di lui e contro gli appelli di Beppe Grillo e Giuseppe Conte, nemmeno una parola. Non un buon viatico se l’intento fosse quello di scongiurare una scissione.