“Quando si arriverà ai primi scrutini la maggioranza potrebbe essersi già garantita dei numeri solidi, e noi diventeremmo superflui. Il problema è che non tutti lo hanno capito”, dice uno dei fuoriusciti più noti. I tempi sono stretti, ma i modi per fare l’operazione sono ancora tutti da decidere. Gli sherpa dal lato M5S, molto ricercati in questi giorni dagli esponenti della maggioranza, sono diversi: i più accreditati, Walter Rizzetto tra quanti sono ancora all’interno del gruppo stellato, Massimo Artini, ex compagno di scuola di Renzi, fra i fuoriusciti.
Le difficoltà per chi tenta di aggregare quest’area in un blocco unico non mancano. Perché, ad esempio, non è un segreto che fino a ieri ad esempio la pattuglia dei divorziati da M5S è stata talmente litigiosa da rendere difficile perfino metterli seduti allo stesso tavolo. E perché per essere più credibili, i residui dissidenti “grillini” (una decina alla Camera da tempo pronti al salto ma sempre indecisi sul quando) dovrebbero uscire finalmente dal gruppo. E sono alla ricerca di un casus belli: “Se tradiscono i principi cinque stelle – spiega uno di loro – e la prossima settimana annunciano ufficialmente che le quirinarie non si fanno, può essere la volta buona per decidere l’uscita”. Il problema è la prospettiva, come da diversi mesi a questa parte: il sindaco di Parma Federico Pizzarotti, punto di riferimento di quest’area, “in questo momento non pensa a lasciare, perché non saremmo pronti a costruire una cosa diversa”, racconta un altro dissidente che era presente all’open day pizzarottiano del 7 dicembre a Parma. Ma di indecisione in indecisione, i dispersi, gli espulsi alla spicciolata rischiano di diventare definitivamente un esercito allo sbando.
Nel frattempo l’area maggioritaria del M5S, dopo i timidi segnali di apertura dei giorni scorsi, si chiude a riccio. I deputati M5S tacciono di fronte ai giornalisti che li interrogano sul destino delle “quirinarie”, la selezione on line delle candidature per il presidente della Repubblica che nel 2013 portò il movimento a sostenere, in aula e in piazza, il giurista Stefano Rodotà. Rappresentativa di questo atteggiamento la risposta ai cronisti di Alessandro Di Battista, uno dei cinque del direttorio: “Non mi va di parlare di queste cose”. E dal blog di Beppe Grillo arriva la bocciatura del papabile più pesante, anche se con un garbo che di norma non è riservato ai “nemici” e che non aiuta a far chiarezza sulle intenzioni del duo Grillo-Casaleggio: Romano Prodi, scrive Grillo, “non sembra proprio il candidato più adatto” e comunque “oggi sarebbero più di 202 a votargli contro”.