Gli elettori macedoni sono chiamati domani, domenica 30 settembre, a dire se accettano che il loro Paese diventi la “Repubblica di Macedonia del Nord”, soluzione che promette di risolvere una disputa lunga trent’anni con la Grecia e aprire le porte dell’Ue e della Nato per la piccola repubblica balcanica. Prospettiva, quella dell’ingresso macedone nell’Alleanza atlantica, invisa alla Russia, che è sospettata – e apertamente accusata dagli Stati Uniti – di tentare di influire sul voto di domenica.
Il segretario alla Difesa Usa, James Mattis, si è recato a Skopje a metà settembre e ha dichiarato che “non ci sono dubbi” che da Mosca siano arrivati soldi per finanziare gruppi filo-russi, con l’obiettivo di far vincere il no al referendum, mentre “la voglia di Occidente” è condivisa dall’80% dei macedoni. A votare sì, oltre agli Usa, hanno esortato la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron. La questione è complessa e comunque l’iter per arrivare a una vera soluzione sul nome della repubblica ex jugoslava si annuncia lungo. Atene contesta alla piccola repubblica da 2,1 milioni di abitanti (che ha dichiarato l’indipendenza dalla Jugoslavia nel 1991 )il diritto di chiamarsi “Macedonia”, rivendicando il nome come esclusiva della sua provincia settentrionale di cui Salonicco è il capoluogo.
Per la Grecia chiedere di ‘doppiare’ il nome per indicare la vicina repubblica slava equivale a una usurpazione culturale. Il timore di Atene, poi, è stato a lungo quello di future rivendicazioni territoriali, dato che la Macedonia storica includeva anche aree divenute parti di Serbia, Albania e Bulgaria. Così, nel 1993 si arrivò ad un compromesso che permise di fare entrare la Macedonia nell`Assemblea Generale delle Nazioni Unite come Ex Repubblica Jugoslavia di Macedonia (in inglese Former Yugoslav Republic of Macedonia, da cui l`acronimo FYROM). La Grecia ha posto in seguito il veto sulla possibile adesione macedone alla Nato, salvo rinuncia al nome Macedonia. Una soluzione provvisoria e intricata, che il voto di domenica cerca di sbloccare definitivamente.
L’accordo sottoposto a referendum è stato siglato lo scorso giugno tra il premier di Skopje Zoran Zaev – fautore di una accelerazione dei negoziati per trovare un compromesso e ripartire nel cammino verso Ue e Nato – e il collega greco Alexis Tsipras. Se ratificato, per Skopje ripartirà il processo di integrazione europea arenato da oltre un decennio e si apriranno le porte dell’Alleanza. Ma il referendum ha valore consultivo e, se approvato, dovrà essere validato dal parlametno macedone con maggioranza dei due terzi (di cui non dispone la coalizione al potere, composta da social-democratici e partiti della minoranza albanese, che costituisce tra il 20 e il 25% della popolazione). Un’ampia vittoria del ‘sì’ potrebbe convincere parte della destra nazionalista del partito VMRO-DPMNE ad appoggiare la ratifica, soprattutto se l’affluenza sarà meno bassa del temuto da molti osservatori.
Poi servirà anche la ratifica del parlamento ad Atene, dove gruppi di nazionalisti hanno manifestato in piazza contro l’intesa. “Per la Macedonia non c’è altra soluzione che l’adesione alla Nato e all’Ue”, ha esortato Zoran Zaev, mettendo in guardia da “isolamento” e “instabilità” in caso di vittoria del no. Le urne saranno aperte domenica dalle 7 alle 19, alla presenza di 500 scrutatori stranieri. I sondaggi non sono stati resi pubblici, ma si sa che il tasso di astensione è stimato attorno al 50%, anche oltre. Di recente in Bosnia, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha detto che la Russia non prende posizione sul referendum. Ma non è certo mistero che per Mosca la Macedonia “slava” è importante sia dal punto di vista strategico per il posizionamento nei Balcani sia simbolico: erano macedoni di Salonicco i monaci Cirillo e Metodio, creatori del primo alfabeto slavo. askanews