Al termine di tre giorni di dibattito e con due soli voti in più rispetto alla soglia della maggioranza, il Parlamento greco ha approvato l’accordo con la Macedonia sul cambiamento di denominazione della Repubblica slava, archiviando un contenzioso che durava dal 1991 e che di fatto aveva bloccato l’ingresso di Skopje nell’Ue e nella Nato. Il Parlamento greco ha ratificato (153 voti contro 300) il cosiddetto Accordo di Prespa, firmato a giugno dell’anno scorso dai governi di Skopje e Atene, chiudendo cosi’ una querelle che durava da piu’ di un quarto di secolo.
Il premier greco Alexis Tsipras, dopo aver superato la settimana scorsa un voto di fiducia innescato proprio dall’accordo con Skopje, ha dunque portato a casa un grande successo diplomatico, dopo che lo scorso 11 gennaio il Parlamento macedone aveva dato il proprio via libera agli emendamenti costituzionali necessari lasciando ad Atene l’ultima parola sulla “Repubblica della Macedonia del Nord”. Tsipras, ha definito quella di oggi “una giornata storica” e ha detto che e’ il punto di partenza di “una nuova era di stabilita’ nei Balcani”, mentre l’Ue ha parlato di “esempio di riconciliazione per tutta l’Europa”. Dopo aver tirato fuori la Grecia dall’orlo della bancarotta, il premier 44enne ha incassato in tal modo una vittoria diplomatica che in pochi credevano possibile. “Oggi scriviamo una nuova pagina per i Balcani”, ha twittato, “l’odio del nazionalismo, la disputa e il conflitto verranno sostituiti dall’amicizia e dalla cooperazione”. Di “vittoria storica” ha parlato anche il premier macedone, Zoran Zaev.
L’accordo, per quanto storico, non ha certo contato con l’unanime sostegno dell’opinione pubblica; i nazionalisti di entrambi i Paesi hanno protestato energicamente, anche se a Skopje la ragione di Stato – ovvero la prospettiva della revoca del veto greco all’ingresso in Ue e Nato – sembra aver avuto un peso maggiore: il referendum consultivo sull’intesa è stato approvato pur se caratterizzato da una forte astensione, e il Parlamento lo ha ratificato a maggioranza qualificata. Ad Atene la questione è stata assai più complicata: l’approvazione dell’accordo da parte di Skpje, forse inaspettata dal partito nazionalista che faceva parte della coalizione di Tsipras, l’Anel, ha provocato le dimissioni del suo leader e ministro della Difesa Panos Kammenos e una mozione di sfiducia che Tsipras ha superato solo grazie al voto di alcuni indipendenti (come del resto l’approvazione dell’accordo stesso).
L’accordo viene infatti giudicato da molti greci fin troppo generoso, in particolare per quanto riguarda il riconoscimento della lingua e della cultura “macedoni”: per i nazionalisti greci l’aggettivo riguarda esclusivamente la propria regione storica e il tentativo di Skopje di appropriarsi dell’eredità di Alessandro Magno è del tutto pretestuoso nel migliore dei casi, e nel peggiore nasconde della ambizioni di allargamento territoriale. Di fatto, si tratta di questioni che l’accordo non manca di sottolineare fornendo una soluzione di compromesso: le numerose statue di Alessandro Magno e di Filippo Ii erette dal precedente governo – nazionalista – di Skopje potranno rimanere in piedi, ma le targhe commemorative dovranno specificarne l’origine ellenistica. In quanto alla lingua, rimarrà “macedone” (per i greci è un dialetto bulgaro) ma l’accordo ne specifica l’appartenenza al “ceppo delle lingue slave meridionali). L’ostacolo più difficile per l’immediato futuro riguarderà probabilmente la designazione dei prodotti tipici: l’intesa impegna Atene e Skopje a “incoraggiare” i rispettivi imprenditori a raggiungere “delle soluzioni di consenso”, ma potrebbero volerci degli anni.