di Andrea Acali
Una delle religiose più amate del Ventesimo secolo sarà proclamata santa domenica 4 settembre, alla vigilia della sua festa canonica. Papa Francesco ha firmato durante il Concistoro di ieri il decreto su Madre Teresa di Calcutta e su altri quattro beati. Nessuna sorpresa sulla data della canonizzazione, che circolava da tempo, ma alla fine neppure sul luogo della cerimonia, che si terrà in piazza San Pietro. Il dubbio era legato all’invito rivolto dai vescovi indiani al Pontefice di recarsi nel subcontinente asiatico per presiedere il rito ma l’universalità del messaggio di Madre Teresa è tale da rendere inevitabile che la celebrazione si tenga a Roma. Soprattutto nell’Anno Santo della Misericordia. Perché la fondatrice delle suore Missionarie della Carità si può considerare un’icona di questo Giubileo straordinario, per le sue scelte radicali in favore degli ultimi, dei più poveri tra i poveri, dei moribondi. Madre Teresa si autodefiniva “la matita di Dio”: se Lui voleva, poteva usarla per scrivere. Per capire chi è stata e cosa ha fatto la religiosa nata a Skopje, in Macedonia, da una famiglia albanese originaria del Kosovo, si possono rileggere alcuni passi del discorso pronunciato nel 1979 a Oslo in occasione del conferimento del Nobel per la pace. A cominciare da quelli dedicati all’aborto: “io sento – disse – che il più grande distruttore della pace oggi è l’aborto, perché è una guerra diretta, un’uccisione diretta, un omicidio commesso dalla madre stessa. Tante persone sono molto, molto preoccupate per i bambini in India, per i bambini in Africa dove tanti ne muoiono, di malnutrizione, fame e così via, ma milioni muoiono deliberatamente per volere della madre. E questo è ciò che è il grande distruttore della pace oggi. Perché se una madre può uccidere il proprio stesso bambino, cosa mi impedisce di uccidere te e a te di uccidere me? Nulla”. Oggi quell’impegno concreto è rappresentato dalle case che accolgono migliaia di bambini abbandonati, orfani o di ragazze madri che hanno fatto la scelta apparentemente più difficile di non percorrere la scorciatoia dell’aborto.
E ancora l’impegno per i moribondi, nonostante le tante (ingiuste) critiche piovute su Madre Teresa, accusata anche di non offrire adeguata assistenza. “I poveri sono persone meravigliose. Una sera – raccontò nel suo discorso in Norvegia – siamo uscite e abbiamo raccolto quattro persone per la strada. Una di loro era in condizioni terribili – e ho detto alle Sorelle: prendetevi cura degli altri tre, io mi occupo di questa che sembrava stare peggio. Ho fatto per lei tutto quello che il mio amore poteva fare. L’ho messa a letto, e c’era un tale meraviglioso sorriso sulla sua faccia. Ha preso la mia mano e ha detto solo una parola: grazie, ed è morta”. La prima casa delle Missionarie della Carità, fondate nel 1950, risale al 1952, nei pressi del tempio della dea Kalì a Calcutta: lì le suore con il sari bianco hanno cominciato a prendersi cura dei moribondi abbandonati, restituendo loro almeno la dignità di persone. E anche in questo caso non è mancata un’accusa ridicola, quella di fare proselitismo. In realtà, i moribondi venivano (e sono) assistiti secondo la propria religione, e i funerali sono celebrati seguendo i rispettivi riti. “Come quell’uomo – raccontò ancora Madre Teresa – che abbiamo raccolto dal canale, mezzo mangiato dai vermi, e l’abbiamo portato a casa: “Ho vissuto come un animale per strada, ma sto per morire come un angelo, amato e curato”“.
Ma dove trovava Madre Teresa la forza di andare avanti? Nella preghiera. “Per poter fare questo, le nostre Sorelle, le nostre vite devono essere intessute di preghiera. Devono essere intessute di Cristo per poter capire, essere capaci di condividere”. Per questo le suore, sull’esempio della loro fondatrice, assistono ogni giorno alla Messa e passano almeno un’ora e mezza in orazione. Lì, nel dialogo con Dio Padre, trovano la forza dell’amore che le spinge a spendere la propria vita al servizio degli altri. Perché oltre alla povertà materiale, c’è una povertà spirituale, morale, spesso fatta di solitudine pur in mezzo all’abbondanza di beni. E anche per queste persone c’è il conforto delle Missionarie della carità: “Oggi – affermò ancora Madre Teresa – c’è così tanto dolore e sento che la passione di Cristo viene rivissuta ovunque di nuovo. Noi siamo là a condividere questa passione, a condividere questo dolore della gente. In tutto il mondo, non solo nei paesi poveri. Ho trovato la povertà dell’Occidente tanto più difficile da eliminare. Quando prendo una persona dalla strada, affamata, le do un piatto di riso, un pezzo di pane, l’ho soddisfatta. Ho rimosso quella fame. Ma una persona che è zittita, che si sente indesiderata, non amata, spaventata, la persona che è stata gettata fuori dalla società… quella povertà è così dolorosa e diffusa, e la trovo molto difficile. Le nostre Sorelle stanno lavorando per questo tipo di persone in Occidente”. Una missione attualissima dopo quasi 40 anni.