Commissariare la Catalogna per indire le elezioni regionali a gennaio: questo l’accordo al quale sono arrivati il Partido Popular e i socialisti del Psoe alla vigilia del consiglio dei ministri a Madrid che dovrebbe dare il via libera all’iter previsto dall’articolo 155 della costituzione per il commissariamento della Generalitat catalana. Da fonti socialiste trapelano anche altre possibili misure, come il commissariamento delle forze di polizia locali e della televisione catalana, TV3, oltre al controllo delle finanze che di fatto è già in vigore (la competenza economica, al contrario di quanto accade nei Paesi Baschi, del governo centrale per quel che riguarda il prelievo fiscale e quindi dei fondi per il pagamento di stipendi e pensioni). Il ricorso alle urne rimane tuttavia l’aspetto più importante – e quello di cui fin dall’inizio si parlava come dell’esito naturale del commissariamento, con l’unico dubbio della tempistica – ma il come arrivarci è materia tutt’altro che immediata dal punto di vista costituzionale, come del resto tutto ciò che è legato all’applicazione dell’articolo 155, inedita e senza regole prestabilite. L’articolo 155 infatti dà al governo centrale il potere di “dare istruzioni” alle autorità regionali, ma non esplicitamente di “sostituirle”; né fra queste “istruzioni”, secondo molti costituzionalisti, vi sono quelle di poter sciogliere il Parlamento o sospendere lo Statuto di Autonomia, dal momento che ciò potrebbe avvenire solo per decreto ed è assai dubbio che un simile strumento possa derogare delle leggi organiche dello Stato, di rango superiore a quelle ordinarie.
La Generalitat – sempre che rimanga nell’ambito dell’ordine costituzionale, ovvero rinunci all’indipendenza – potrebbe quindi ricorrere alla Corte Costituzionale per un conflitto di competenze, anche se l’esito dipenderebbe in ultima analisi dall’interpretazione dei giudici, per la maggior parte conservatori e nominati dai passati governi del Pp. Se passasse però l’interpretazione più legalista dell’articolo 155 l’unico ad avere il potere di indire delle elezioni regionali sarebbe il presidente della Generalitat, o una persona da lui delegata a sostituirlo in caso di interdizione o sospensione. L’interdizione è una misura che si accompagna a una condanna penale, mentre la sospensione non può essere decisa dal governo, ma – dopo la riforma del 2015 voluta dal Pp – è fra le competenze della Corte Costituzionale in caso di mancato rispetto delle proprie sentenze o delle direttive del governo. Sarebbe dunque possibile che nel caso Carles Puigdemont si rifiutasse di indire nuove elezioni secondo le istruzioni di Madrid – sempre che i giudici decidano che questa prerogativa rientri nell’articolo 155 – il presidente della Generalitat venisse sospeso dalle sue funzioni – ma senza interdizione – per ordine della Corte Costituzionale, ma ciò non farebbe che spostare il problema a chiunque ne prendesse il posto.
Il problema di fondo dell’applicazione del 155 – il motivo per cui il governo centrale fin qui si è mostrato abbastanza restio a farvi ricorso – è che un conto è la sua imposizione, un’altra è l’effettiva obbedienza che otterrebbe sul terreno: anche in assenza di una dichiarazione di indipendenza, difficilmente i catalani riconoscerebbero come legittima un’amministrazione per quanto interinale imposta da Madrid. Infine, l’esito delle elezioni: se il fronte indipendentista mantenesse la propria coesione (il che è tutt’altro che scontato, dal momento che la partecipazione al voto passerebbe forzatamente per una rinuncia all’indipendenza) potrebbe ottenere un risultato addirittura migliore rispetto al 48% del passato scrutinio; in questo caso per Madrid i problemi aumenterebbero. La scommessa del Pp è che le formazioni indipendentiste finiscano invece per raccogliere meno voti da parte di un elettorato che interpreterebbe il ritorno alle urne come una sconfitta; oppure, in caso di indipendenza, potrebbe ricorrere alla messa al bando del PDeCat e di Erc (seguendo il precedente di Batasuna). In tal caso però si riproporrebbe il rischio di un governo regionale delegittimato dal prevedibile boicottaggio di massa di una popolazione che non si sentirebbe affatto rappresentata dai partiti “costituzionali”, che presi nel loro insieme in Catalogna non vanno molto oltre il 20% delle preferenze.