Stato-mafia, le agende di Ciampi entrano nel processo. Gasparri, a che servono ora
Anche le agende di Carlo Azeglio Ciampi “entrano” nel processo sulla cosiddetta trattativa tra lo Stato e la mafia. Lo ha deciso la Corte di assise presieduta da Alfredo Montalto, sciogliendo la riserva sulla richiesta formulata dall’accusa, ritenendola dunque ammissibile limitatamente al periodo compreso tra 28 aprile 1993 e il 10 maggio 1994, quando Ciampi ricopriva la carica di presidente del Consiglio. E ritenendo “ammissibili” anche eventuali appunti – presi da Ciampi – relativi a colloqui avuti con il presidente della Repubblica. Era stato lo stesso Ciampi – sentito dai pm di Palermo il 15 dicembre 2010 – a mettere a verbale che “molti degli argomenti di cui mi chiedete erano oggetto di miei appunti su mie agende personali in uso mentre ero presidente del Consiglio”. La Corte ha considerato l’utilita’ se non l’indispensabilita’ di tale acquisizione ritenendola ammissibile limitatamente alle parti relative ad appunti sulla sostituzione del capo del Dap, Nicolo’ Amato, sulle nomine di Adalberto Capriotti, sulla mancate conferme del 41 bis e piu’ in generale su fatti attinenti al fenomeno mafioso. Appunti presi mentre Ciampi era presidente del Consiglio e il presidente della Repubblica era Oscar Luigi Scalfaro. Le agende di Ciampi sono custodite dall’archivio storico della Presidenza della Repubblica. “Secondo la Corte di Assise, quegli scritti sarebbero utili a capire cosa accadde in quella torbida fase della vita repubblicana. Ma a cosa serve questa acquisizione postuma?”. E’ Maurizio Gasparri a domandarlo, affermando che “Ciampi doveva parlare prima, quando poteva ancora farlo, quando il suo ministro della Giustizia, Conso, si assunse in commissione Antimafia le solitarie colpe della cancellazione del carcere duro per centinaia di boss. Cosi’ lo Stato si piego’ alla mafia”. “Possibile – riprende il vicepresidente FI del Senato – che Ciampi presidente del Consiglio e Scalfaro al Quirinale non sapessero nulla? Puo’ un ministro aver preso una decisione tanto grave senza averla condivisa con nessuno al di sopra di lui? Chi poteva e doveva dire la verita’ non lo ha fatto. Quelle pagine della storia della Repubblica andavano riscritte prima”.