Mafia, divieto di esercitare per avvocato Riccobene

Riciclaggio e trasferimento fraudolento di beni con la complicità di un avvocato, un notaio, un direttore di banca che avrebbero favorito i costruttori mafiosi palermitani Vincenzo e Francesco Graziano, padre e figlio, cui i finanzieri del nucleo speciale di polizia valutaria hanno sequestrato beni per circa 2 milioni di euro su ordine del gip Fabrizio La Cascia, dopo le indagini della Dda palermitana. Il Gip ha disposto il divieto di dimora nella provincia di Palermo per Vincenzo e Francesco Graziano, l’obbligo di dimora per Gaetano Giampino, pedina dei costruttori accusato di riciclaggio con l’aggravante di aver commesso i fatti al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa, e il divieto di esercitare la professione legale nei confronti di Nicolò Riccobene, avvocato palermitano, accusato di ”avere consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno ed al rafforzamento dell’associazione mafiosa, svolgendo in particolare la funzione di intermediario tra i vari sodali – anche quando erano in carcere – in merito alle somme di denaro da destinare al sostentamento della famiglia mafiosa.

Secondo la Guardia di Finanza i Graziano ”avrebbero immesso nel circuito legale una serie di immobili – acquistati nel tempo con i proventi illeciti dall’associazione mafiosa – attraverso la ripetuta cessione dei beni attraverso fittizie compravendite tra parenti e prestanome, che si procuravano i soldi per mezzo di mutui concessi da un compiacente direttore di banca” Massimo Sarzana che dirigeva un’agenzia dell’ex Banca di Roma. L’analisi della documentazione contrattuale e bancaria – dicono gli inquirenti – ha consentito di riscontrare che, da luglio 2007 a marzo 2008, il bancario ha deliberato l’erogazione di 14 finanziamenti, per la maggior parte dell’importo di 250.000 euro ciascuno, consentendo alla famiglia mafiosa dei Graziano di accedere al credito per 3.310.000 euro, sulla base di falsa documentazione fiscale attestante la percezione di redditi inesistenti, per simulare il regolare acquisto di unità immobiliari che in realtà erano già nella disponibilità della famiglia.

Un notaio di Palermo è indagato per falso perché per facilitare il riciclaggio avrebbe compiuto atti ideologicamente falsi (una compravendita immobiliare e relativo mutuo collegato), attestando l’identità del soggetto acquirente l’immobile e beneficiario del mutuo, risultato di fatto inesistente. L’indagine – dice la GDf – ha ancora una volta dimostrato l’esistenza di un legame molto stretto tra l’organizzazione mafiosa e i colletti bianchi appartenenti alle diverse categorie professionali che sembrano essere transitati da una posizione di mero asservimento alle finalità criminali ad un ruolo sempre più intraneo alla struttura mafiosa, al punto da confondersi pienamente con essa”.