Mafia, rinviato a giudizio l’editore Ciancio. “Ricostruzione fantasiosa. Indignato, mi difenderò”

La prima udienza e’ stata fissata per il 20 marzo al Tribunale di Catania

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L’imprenditore ed editore del quotidiano la Sicilia di Catania, Mario Ciancio Sanfilippo, e’ stato rinviato a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa. E’ la decisione del giudice Loredana Pezzino che ha disposto il giudizio dopo che la Cassazione aveva annullato con rinvio la decisione di non luogo a procede del giudice del Tribunale di Catania Gaetana Bernabo’ Distefano. La prima udienza e’ stata fissata per il 20 marzo, dinanzi alla prima Sezione penale del Tribunale di Catania. “E’ un rinvio a giudizio che non mi stupisce. La mia assoluta estraneita’ ai fatti che mi vengono contestati e’ nelle indagini dei carabinieri del Ros. Sarebbe bastato leggerle per decidere diversamente”. E’ il commento di Mario Ciancio dopo il suo rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa. “Non posso pero’ fare a meno di dire che provoca in me un moto di indignazione – aggiunge – il fatto che una ricostruzione fantasiosa e ricca di errori e di equivoci, che ha deformato cinquant’anni della mia storia umana, professionale e imprenditoriale, alterando fatti, circostanze ed episodi, sostituendo la verita’ con il sospetto, sia stata adottata quale impermeabile capo di accusa per attivare un processo contro di me. Ho sempre piena fiducia nell’operato della magistratura e non ho dubbi che saro’ assolto da ogni addebito”. Ciancio è “pronto a difendermi con determinazione, continuero’ serenamente a lavorare mentre i miei legali riproporranno con pazienza tutte le innumerevoli argomentazioni a sostegno della mia innocenza. Anche se i tempi si dilateranno riusciro’ a dimostrare chiaramente il grave errore consumato con questo rinvio a giudizio”.

LA STORIA

Un procedimento controverso quello a carico dell’editore catanese Mario Ciancio Sanfilippo, per il quale oggi e’ stato disposto il rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa. La Procura di Catania il 17 febbraio 2015 aveva chiuso le indagini sul patron del quotidiano “La Sicilia”. L’accusa riguardava supposti interessi di Ciancio in attivita’ imprenditoriali che secondo i Pm coinvolgevano anche la mafia, mentre un filone d’indagine era relativo a conti esteri con giacenze per oltre 52 milioni di euro. – AFFARI E CONTI IN SVIZZERA La contestazione, spiegava allora la Procura, “si fonda sulla ricostruzione di una serie di vicende che iniziano negli anni ’70 e si protraggono nel tempo fino ad anni recenti; si tratta in particolare della partecipazione ad iniziative imprenditoriali nelle quali risultano coinvolti forti interessi riconducibili all’organizzazione Cosa nostra, catanese e palermitana. Negli atti sono confluiti anche i documenti provenienti dagli accertamenti condotti in collegamento con le autorita’ svizzere e che hanno consentito, attraverso un complesso di atti di indagine, di acquisire la certezza dell’esistenza di diversi conti bancari. In quelli per i quali sono state ottenute le necessarie informazioni sono risultate depositate ingenti somme di denaro (52.695.031 euro), che non erano state dichiarate in occasione di precedenti scudi fiscali”.

‘NON LUOGO A PROCEDERE’ Il 21 dicembre 2015 il primo colpo di scena con la decisione del giudice per ‘il non luogo a procedere’. Nelle motivazioni depositate a febbraio 2016, Gaetana Bernabo’ Distefano spiegava, in merito al reato di concorso esterno, che sul profilo teorico la distinzione e’ chiara, sotto quello pratico invece la differenza puo’ essere “problematica”, a tal punto che crea una difficolta’ di concreta applicazione. “La creazione di una fattispecie di reato non puo’ che essere demandata al legislatore che deve farsi carico di stabilire i confini di tale figure, secondo precisi criteri di ermeneutica giuridica” e non “lasciare all’interprete il compito di definire qualcosa che, allo stato, non e’ definibile”. Di piu’: “la creazione del cosiddetto concorso esterno appare, purtroppo, una figura che si potrebbe definire quasi idealizzata nell’ambito di un illecito penale cosi’ grave per la collettivita’. Con cio’ non vuole dirsi che la zona grigia dei cosiddetti colletti bianchi sia una zona neutra, non passibile di controllo giurisdizionale. Si puo’ affermare che il fenomeno e’ piu’ delicato di quanto non si pensi, ed inoltre ha avuto un’evoluzione, in negativo, che negli anni Ottanta non si poteva neppure prevedere. In sostanza – osservava il Giudice – l’intuizione di Giovanni Falcone e la conseguente creazione di una fattispecie di reato che potesse coprire la zona grigia della collusione con la mafia oggi non puo’ che essere demandata al legislatore, il quale deve farsi carico di stabilire i confini di tali figure di reato, secondo precisi criteri di ermeneutica giuridica. Una volta individuata legislativamente tale fattispecie – osserva il Gip – sara’ allora compito dell’interprete capire se il comportamento del singolo individuo vada ricompreso nella figura dell’associato mafioso o meno”.

LA CASSAZIONE Per il giudice catanese il problema non e’ da poco, “soprattutto perche’ lascia all’interprete il compito di definire qualcosa che, allo stato, non e’ definibile”. La mancata certezza nella definizione del concorso esterno, che in astratto al momento potrebbe portare a contestare con maggiore chiarezza giuridica l’appartenenza a un clan, “non consente di sostenere l’accusa davanti al Tribunale”, proprio per la “difficolta’ di ipotizzare il cosiddetto delitto di concorso esterno in associazione mafiosa”. In ultima analisi “i singoli elementi indiziari non sono idonei a supportare l’accusa nel successivo giudizio per idoneita’, carenza o contraddittorieta’ degli stessi”. Ma il 14 settembre 2016 e’ la Quinta Sezione Penale della Cassazione a intervenire disponendo l’annullamento con rinvio della sentenza, accogliendo il ricorso della Procura del capoluogo etneo. Oggi la decisione del Gup etneo e l'”indignazione” di Ciancio che parla di “ricostruzione fantasiosa”, promettendo: “Mi difendero’ da questo grave errore”.