Cronaca

Mafia: scacco a erede Provenzano, gli imprenditori di Corleone guidano la rivolta contro il pizzo

Da Provenzano a Provenzano. “Basta uno, non c’e’ bisogno di cento”. Carmelo Gariffo (foto), tornato in liberta’ nel marzo 2014, sognava di riportare il mandamento di Corleone agli antichi fasti e di pilotarne riorganizzazione e rilancio, a forza di appalti ed estorsioni. Ma a fermarlo e’ stato anche uno stuolo di imprenditori che hanno denunciato il pizzo. Nipote prediletto di Bernardo, il padrino morto lo scorso 13 luglio, Gariffo aveva l’autorita’ per tentare di riscrivere un nuovo inizio dopo i numerosi colpi inferti dalle forze dell’ordine. Una questione di sangue, comunque inteso: nel suo duplice rimando viscerale e cruento. Ma e’ ancora un’altra operazione a spazzare via questo piano. Dodici gli esponenti di spicco arrestati dai carabinieri del Nucleo investigativo e della Compagnia di Corleone che, nell’ambito dell’operazione “Grande passo 4”, hanno dato esecuzione a una ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip Fabrizio Anfuso, su richiesta della Procura distrettuale diretta da Francesco Lo Voi, a conclusione di complesse indagini coordinate dall’aggiunto Leonardo Agueci e dai sostituti Sergio Demontis, Caterina Malagoli e Gaspare Spedale.

“CARME’ FACCIAMO QUELLO CHE VUOI TU”. Gli arrestati sono accusati di associazione di tipo mafioso, estorsione, tentata estorsione e danneggiamento, delitti aggravati dalla finalita’ di agevolare l’attivita’ dell’associazione mafiosa. Tra loro proprio l’ingombrante nipote, in prima fila ai funerali del capomafia di cui ha gestito la latitanza, la circolazione dei pizzini del capomafia, lo ha assistito nei suoi affari. E conosce, quindi, i segreti di Cosa nostra. Una conversazione captata ne rimarca il peso: “C’e’ una impresa di Catania – dice il suo interlocutore – che deve fare un lavoro, dagli undici ponti di Prizzi fino al bivio di Vicari. Un lavoro di circa 5 milioni. Se dici che ci dobbiamo muovere… Carme’, se tu dici no chiudiamo il discorso”. La risposta: “Dobbiamo prendere tutte le informazioni possibili, iniziando da chi e’ l’ingegnere, che lavoro e’, che ditta e vediamo come siamo combinati…”. Decisiva la scelta di collaborare di otto imprenditori che, decidendo di rompere il muro dell’omerta’, hanno aperto uno squarcio sui nuovi assetti e affari ricostruiti dai militari dell’Arma. Rapporti e interessi che hanno pesato sul Comune di Corleone che ad agosto e’ stato sciolto. Gariffo, scarcerato dopo otto anni di reclusione, e’ stato intercettato all’interno dell’ufficio utilizzato da Antonino Di Marco, custode del campo sportivo di Corleone, vicino ai vertici corleonesi di Cosa nostra, mentre si parlava di appalti e pizzo.

I NUOVI CAPI. E’ stato cosi’ individuato il vertice del mandamento in Rosario Salvatore Lo Bue, di ‘stretta osservanza provenzaniana’; sono stati identificati i reggenti delle cosche di Chiusa Sclafani e Palazzo Adriano, rispettivamente, Vincenzo Pellitteri e Pietro Paolo Masaracchia, intercettao tempo fa mentre parlava di un attentato al ministro dell’Interno Angelino Alfano; delineato il ruolo di Antonino Di Marco, quale supervisore delle attivita’ della famiglia mafiosa di Palazzo Adriano. Accertata la responsabilita’ conferita a Pietro Pollichino quale responsabile della gestione del territorio di Contessa Entellina, sottoposto all’influenza del clan di Chiusa Sclafani. Quest’ultima tranche dell’indagine ha consentito di integrare ulteriormente gli elementi acquisiti,documentando la riorganizzazione territoriale dello storico mandamento di Corleone e delle cosche ricadenti nell’area dell’Alto Belice, con l’individuazione dei vertici e dei nuovi assetti; confermando l’aspra contrapposizione tra i diversi gruppi presenti sul territorio; ricostruendo nove episodi estorsivi in danno di commercianti ed imprenditori operanti nel settore edilizio, vittime di numerosi atti intimidatori.

LE ESTORSIONI. Quest’ultima fase dell’indagine ha consentito di acclarare come i vertici delle famiglie di Palazzo Adriano e Chiusa Sclafani pianificassero i delitti sotto la supervisione e con l’autorizzazione del capo mandamento corleonese. E’ stato cosi’ possibile accertare una lunga serie di estorsioni ai danni, per lo piu’, di ditte impegnate nell’esecuzione di lavori pubblici. L’elemento di novita’ rispetto al passato e’ rappresentato dalla caduta del muro di omerta’ di imprenditori e commercianti, che – stanchi di sottostare ad imposizioni e minacce di ogni genere – hanno iniziato a collaborare. In tale contesto, e’ emblematica la vicenda che ha interessato, nel luglio del 2014, un imprenditore della provincia di Palermo, aggiudicatario dell’appalto dei lavori di manutenzione di abbeveratoi rurali nel comune di Palazzo Adriano, il quale ha denunciato l’incendio di due mezzi da lavoro.

“ROTTO MURO OMERTA'”. Per chi indaga e indagini hanno ancora una volta documentato la costante pressione mafiosa sul tessuto produttivo nell’entroterra della provincia palermitana, “che ha ingenerato un clima di paura e un muro di omerta’, per la prima volta incrinato dalla collaborazione spontanea di imprenditori locali”. Una scelta non facile. Le interce3ttazioni hanno confermato la forte pressione sul territorio e il clima di violenza e di intimidazione, tra minacce, botte, roghi e danneggiamenti, che danno piu’ valore alla scelta degli imprenditori di ribellarsi. “Ci vuole qualcuno che si assume le responsabilita’. Se non si fanno piangere non si arrivera’ mai… falli piangere tutti…”. Cosi’ parlavano gli uomini del racket, intercettati dai carabinieri.

IL FORESTALE CHE SI FECE BOSS. Da forestale a boss. La vertiginosa carriera di un fedelissimo da anni sul libro paga della Regione siciliana. E’ uno degli aspetti dell’operazione dei carabinieri “Grande passo 4” che con i suoi dodici arresti ha decapitato il mandamento di Corleone. E stoppato l’ascesa dell’operaio stagionale Vito Biagio Filippello, ritenuto il nuovo reggente della cosca mafiosa di Palazzo Adriano a seguito dell’arresto di Pietro Paolo Marasacchia. Tra gli arrestati Francesco Scianni (cantoniere) e un altro operaio forestale stagionale, Vincenzo Coscino, ritenuti organici alla famiglia mafiosa di Corleone. L’ordinanza di custodia cautelare ha interessato anche Carmelo Gariffo, nipote di Bernardo Provenzano; Leoluca Lo Bue (allevatore), figlio di Rosario Salvatore Lo Bue, gia’ a capo del mandamento mafioso di Corleone; Antonino Di Marco, gia’ tratto in arresto nel settembre del 2014 nel corso dell’operazione “Grande Passo” e condannato in primo grado lo scorso febbraio a 12 anni di reclusione per associazione di tipo mafioso ed altro; Vincenzo Pellitteri, gia’ tratto in arresto nel novembre del 2015 nel corso dell’operazione “Grande Passo 3”; Masaracchia, gia’ tratto in arresto nel settembre del 2014 nel corso dell’operazione “Grande Passo” e condannato in primo grado lo scorso febbraio a 11 anni di reclusione per associazione di tipo mafioso, Bernardo Saporito (allevatore); Francesco Geraci, 45 anni, e Francesco Geraci, 49 anni, entrambi imprenditori agricoli, rispettivamente nipote e figlio dell’anziano capo famiglia Gaspare Geraci, deceduto lo scorso 5 dicembre 2015, nonche’ Pietro Vaccaro (allevatore), tutti appartenenti al clan a di Chiusa Sclafani. Contestualmente e’ stata applicata la misura di sicurezza provvisoria della liberta’ vigilata per due anni nei confronti di Gaspare Gebbia e del figlio Pietro mandanti di un progetto omicida per una questione di eredita’ ai danni di un bracciante agricolo di Chiusa Sclafani.

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