Mafia, su via D’Amelio uno dei più gravi depistaggi storia

“Semplici” criminali hanno parlato da pentiti, creando una versione dei fatti non rispondente al vero

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Le indagini sulla strage di via D’Amelio subirono “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”. A mettere nero su bianco questa verità giudiziaria sono le motivazioni della sentenza della Corte d’Assise di Caltanissetta emessa il 20 aprile 2017 a conclusione del cosiddetto “Borsellino quater”, con cui è stato inflitto l’ergastolo ai boss Salvino Madonia e Vittorio Tutino, accusati di strage, e 10 anni per calunnia ai falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci.

Per il presidente Antonio Balsamo e il giudice a latere Janos Barlotti, il lavoro di accertamento delle responsabilità svolto dal gruppo di Arnaldo La Barbera, funzionario di polizia morto nel 2002, su chi uccise il giudice Paolo Borsellino e i suoi 5 agenti di scorta il 19 luglio 1992 a Palermo, fu stravolto da un sistema che portò “semplici” criminali a parlare da pentiti, creando una versione dei fatti non rispondente al vero, coinvolgendo anche persone estranee alla vicenda. Ruolo chiave rivestì il falso pentito Vincenzo Scarantino, convinto dagli investigatori a offrire una ricostruzione completamente distorta delle fasi preparatorie l’attentato.

Tra le possibili cause di questo depistaggio potrebbe esserci stata la volontà di nascondere “la responsabilità di altri soggetti”, nell’ottica di “una convergenza di interessi tra Cosa Nostra e altri centri di potere che percepivano come un pericolo l’opera del magistrato”. In tal senso, per i magistrati nisseni, lo stesso La Barbera sarebbe stato coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, il diario che il magistrato portava sempre con sè, e del quale si è persa traccia fin dai momenti immediatamente successivi all’attentato.[irp]