Roma, 28 Novembre 2018
Gentile ministro Luigi Di Maio,
non farò l’errore che ha fatto un Pd disperatamente in cerca d’identità. E cioè quello di paragonare la vicenda che ha coinvolto lei e suo padre con quelle dei padri di Matteo Renzi e Maria Elena Boschi. Si tratta di scandali di un peso specifico molto diverso: tanto l’ex premier che la sua fedelissima entrarono a pieno titolo nelle questioni che riguardavano i genitori cercando in qualche modo di influenzarne gli esiti, a lei invece va dato atto di aver preso subito le distanze da suo padre e di non aver fatto nulla per celare la verità.
Ebbene, ora che è possibile tirare i fili principali della vicenda dei lavoratori in nero nella Ardima Costruzioni, si può dire tranquillamente che il problema non sta in chi otto o dieci anni fa fu alle dipendenze della ditta allora intestata a sua madre senza un regolare contratto. Bensì, nella causa di lavoro che un lavoratore ha con la Ardima srl oggi. Quando, cioè, la ditta è per metà di proprietà del ministro del Lavoro.
In pratica, lei ha sostenuto di non sapere che Salvatore Pizzo ha lavorato in nero per la ditta di famiglia una decina di anni fa. Le confesso che io le credo. La sua espressione di stupore, la sua costernazione nel corso della prima puntata dell’inchiesta delle Iene mi sono sembrate sincere.
Poi, però, nella seconda puntata ha sostenuto di non sapere né che all’epoca i lavoratori in nero erano 3 o 4 – in pratica, metà o più dell’intero personale – né che uno di questi alla Ardima aveva fatto causa per ottenere un risarcimento dei contributi e dei danni non versati. E questo nonostante la vertenza sia ancora in corso tuttora, giunta alla fase di appello.
Le pongo allora questa domanda: è normale che lei non sapesse che la ditta di cui è socio al 50% stesse affrontando una causa di lavoro? Non ha ritenuto che – da ministro del Lavoro, appunto – fosse il caso di essere completamente sicuro della totale regolarità delle procedure della sua azienda? E’ normale, ancora, che nonostante la gravità del momento, quando è andato a chiedere delucidazioni ai suoi congiunti sulla vicenda di Salvatore Pizzo, questi ultimi abbiano deciso di tacerle gli altri casi di lavoro nero e la vertenza in corso?
Perché, arrivati a questo punto, ci troviamo a un bivio: o lei, da imprenditore attento, conosceva tutte le vicenda della sua azienda e ha mentito quando l’ha descritta come un prototipo paradisiaco del rapporto datore-lavoratore. Allora in questo caso sarebbe un bugiardo.
Oppure lei non ne sapeva davvero nulla. Ma se cosse così – e io credo sinceramente che sia così – si aprono altri due problemi. Uno familiare, che la riguarda personalmente, ovvero il non potersi fidare né di suo padre, né di sua sorella (che possiede l’altro 50% dell’azienda), né di suo fratello (che ne è l’amministratore unico). E un problema politico: la sua enorme superficialità. In pratica le vicende della sua ditta le sono passate sotto il naso (ripetiamo: oggi. Non dieci anni fa) senza che lei se ne accorgesse.
E il fatto che queste vicende riguardassero questioni di lavoro nero aggiunge gravità al tutto. Perché lei è il ministro che si appresta a distribuire il reddito di cittadinanza a milioni di cittadini garantendo che nessun “abusivo” lo percepirà. E’ sicuro di poterlo garantire sostenendo semplicemente che “chi prenderà il reddito non avrà il tempo pure per lavorare in nero”?
Ecco, ministro, le sarei grato se prima di archiviare questa vicenda lei rispondesse a questa semplice domanda: è un bugiardo o semplicemente un gran superficiale? O, magari, anche stavolta non aveva capito la mail?
Aggiornamento delle 17.40: Di Maio ha appena detto: “Sapevo della causa, ma l’avevamo vinta”. In realtà la causa è in appello (i Di Maio hanno vinto solo il primo grado e all’accusatore, durante il secondo grado, è stata offerta una transazione economica). Ciò che conta è che il ministro del Lavoro ha ammesso di aver mentito sia quando ha descritto l’azienda di famiglia come un eldorado dei diritti dei lavoratori, sia quando alle Iene ha detto di non conoscere altri casi oltre a quello di Salvatore Pizzo. E, per me, la faccenda può ritenersi conclusa qui.