Manovra, il 21 verdetto Ue che potrebbe innescare procedura

Manovra, il 21 verdetto Ue che potrebbe innescare procedura
Al centro Giovanni Tria e a destra, Pierre Moscovici
14 novembre 2018

Si conferma il 21 novembre l’appuntamento dell’Italia con il verdetto della Commissione europea sulla manovra. “Possiamo confermare che abbiamo ricevuto il progetto di Bilancio rivisto e il prossimo passo è completare la nostra valutazione: pubblicheremo una opinione il 21 novembre assieme alle opinioni su tutti i Paesi”. Così il primo portavoce dell’esecutivo comunitario, Margaritis Schinas, ha risposto a chi gli chiedeva come fosse stato accolto il documento inviato ieri notte dall’Italia. Difficilmente si tratterà di un parere lusinghiero, viste le distanze che persistono tra quello che reclama Bruxelles, sulla base delle regole del Patto di stabilità e di crescita, e quello che il governo è orientato a fare.

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E non fa presagire nulla di buono il pre-giudizio del vicepresidente della Commissione, il lettone Valdis Dombrovskis, secondo cui il progetto è “controproducente per la stessa economia dell’Italia” mentre il rialzo sui costi di rifinanziamento del debito sta già pesando sui costi dei prestiti e sugli investimenti. Ma questo sarebbe solo l’aspetto relativo alla valutazione dell’Ue. Poi ci sta la possibile ricaduta sanzionatoria, che viaggia con una procedura in parallelo, seppure collegata al giudizio sui conti, e che ruota attorno a quella che viene chiamata “regola del debito”. In questo caso però la tempistica dei prossimi passi è meno definita. Innanzitutto comunque il primo appuntamento è il parere sul progetto di bilancio. Se il governo afferma di voler spingere il deficit al (e non oltre) il 2,4 per cento del Pil, secondo le previsioni di Bruxelles, che poi sono quelle su cui l’esecutivo comunitario basa i suoi giudizi, il disavanzo 2019 arriverà al 2,9 per cento (e al 3,1% nel 2020).

Ma in realtà quello che più conta è il deficit strutturale. Il 2018 dovrebbe chiudersi con un miglioramento di 0,2 punti, all’1,8 per cento del Pil. La vera deviazione si verifica qui: l’Ue, in base alle regole, vorrebbe una ulteriore riduzione di 0,6 punti nel 2019. L’Italia invece afferma che il disavanzo strutturale peggiorerà di 0,8 punti. Già così la distanza sarebbe di 1 intero punto di Pil (circa 17 miliardi di euro). Ma appunto l’Ue usa come riferimento le sue di previsioni, che per il deficit strutturale pronosticano un 3% del Pil nel 2019 (invece del 2,6% del governo) e un 3,5% nel 2020. Sul prossimo anno la distanza Roma-Bruxelles è quindi di ben 1,8 punti, oltre 35 miliardi di euro. Ed è a questo delta che si riferiva il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, quando in occasione della visita a Roma del presidente dell’Eurogruppo mise in rilevo come per rispettare questi parametri sarebbe servita una correzione “violentissima”, che in una fase di indebolimento dell’economia sarebbe stata come “un suicidio”.

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Il problema è che con un divario simile, anche accordando all’Italia eventuali flessibilità su alcuni aspetti, come potrebbero essere le spese straordinarie sulle infrastrutture dopo la tragedia di Genova, che peraltro non impattano sul disavanzo strutturale, difficilmente, come negli anni passati, l’Ue giungerà alla conclusione che Roma risulta “largamente adempiente” sulle regole. E qui si arriva al secondo e, forse, più problematico aspetto, quello sanzionatorio. Occorre fare una premessa. La versione rivista del Patto Ue sui conti non guarda unicamente al disavanzo o deficit, a quel fatidico rapporto del 3 per cento sul Pil e alla sua progressiva riduzione. Ma considera anche il livello complessivo di indebitamento, in particolare mette nel mirino la parte di debito eccedente il 60 per cento del Pil. In linea teorica gli Stati sarebbero tenuti a ridurre di un ventesimo l’anno (circa del 5 per cento) la parte eccedente di questo debito.

E per l’Italia si tratterebbe di uno sforzo gigantesco, dato che nel suo caso si tratterebbe di ridurre del 5 per cento l’anno una montagna equivalente a 70 punti di Pil. Finora è stata graziata da una incombenza simile perché, sempre in base alle regole riviste del Patto, risultava “largamente adempiente” con i requisiti di deficit. Ma come spiegato in varie occasioni dal commissario europeo agli Affari economici, Pierre Moscovici, e soprattutto dal meno verboso ma non meno concreto Dombrovskis, venendo meno questa “adempienza” riscatterebbe la regola del debito. E proprio in base a questo potrebbe essere avviata una procedura per deficit eccessivo (sulla base della regola del debito). Per ora su questo versante l’Ue non si è ancora sbilanciata più di tanto. “Posso confermare che abbiamo ricevuto una risposta anche alla richiesta di chiarimenti su quali elementi l’Italia ritenga rilevanti” su questo aspetto, ha riferito un altro portavoce della Commissione, Christian Spahr.

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“Stiamo preparando il rapporto” previsto dall’articolo 126 comma 3 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea e “stiamo valutando la risposta dell’Italia”. Il portavoce non ha però fornito una data precisa su quando potrebbe arrivare questo rapporto. Prima del 21 novembre, una nuova occasione di confronto sarà rappresentata dall’Eurogrupopo straordinario fissato lunedì 19, che era stato convocato non per parlare di bilanci ma per cercare di trovare una intesa sulla tassazione dei giganti digitali. L’unica variazione di rilievo che l’Italia potrà affermare di aver inserito nella manovra rivista riguarda il rafforzamento del piano di dismissioni. Che però impatterebbe in positivo proprio sul livello del debito. Nel documento si stima che dopo il 130,9% del 2018, il debito-Pil scenda al 129,2% nel 2019, al 127,3% nel 2020 e al 126%& l’anno successivo.

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