Manovra, caos su “scudo” penale. Poi Meloni frena: non è il momento

Tensioni in maggioranza, norma sarà un provvedimento ad hoc. Opposizioni cantano vittoria

Giorgia Meloni2

Il protagonista dell’ennesima giornata di caos parlamentare sulla manovra è un emendamento che nessuno ha visto scritto nero su bianco, quello sullo scudo penale per i reati collegati all`evasione fiscale. La sola voce che la contestata norma, che aleggia da giorni, stesse per essere presentata è bastata a scatenare l’ira delle opposizioni che già lamentano la gestione confusa del confronto in commissione, il ritardo di pareri e riformulazioni. “Se c’è salta il banco”, aveva detto in mattinata la capogruppo dem alla Camera, Deborah Serracchiani. A protestare anche l’alleanza rosso-verde e il M5s, con Giuseppe Conte che aveva convocato una riunione d’urgenza del gruppo. Alla fine, invece, il criticato scudo non ci sarà. E Pd e Cinquestelle la rivendicano come una propria vittoria.

Dell’ipotesi che venisse presenta questa misura aveva parlato qualche giorno fa il vice ministro della Giustizia di Forza Italia, Francesco Paolo Sisto, salvo poi essere smentito dal Mef che aveva negato “condoni”. In realtà fonti qualificate di maggioranza confermano che il testo dell’emendamento da infilare nella manovra non soltanto era pronto, ma stava per essere effettivamente presentato. Per le opposizioni si tratta dell’ennesimo inghippo nato da uno scontro tutto interno alla maggioranza e in particolare dalla volontà del partito di Silvio Berlusconi di rendere operativo lo scudo sin dalla legge di bilancio. Gli azzurri però negano e assicurano che del testo aveva piena consapevolezza anche il vice ministro dell’Economia di Fratelli d’Italia, Maurizio Leo.

A stoppare la norma, con il ministro dei Rapporti con il Parlamento Gianluca Ciriani a fare da pontiere all’interno della stessa maggioranza, è stata – viene raccontato – la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. “Non è il momento, abbiamo cinque anni per rispettare gli impegni presi”, avrebbe detto. A palazzo Chigi sarebbe scattato l’allarme, il timore che una misura del genere non solo non sarebbe stata compresa, ma avrebbe compromesso anche la corsa contro il tempo per evitare l’esercizio provvisorio. D’altra parte, già nel pomeriggio, fonti del Mef avevano fatto sapere che “se il Parlamento ritenesse di non modificare la manovra, per il ministero dell’Economia e delle finanze va benissimo il testo già approvato in Consiglio dei ministri. Con quello si andrà in Aula e su quello sarà posta la fiducia, con l’eccezione della riformulazione sul Pos”. Una strigliata in piena regola alla maggioranza.

Secondo fonti parlamentari, che però non trovano conferma, a frenare lo scudo ci sarebbe stata anche una moral suasion del Quirinale. Ad ogni modo la stessa premier avrebbe spiegato ai suoi interlocutori che poiché la tregua fiscale fa parte del programma di governo, la norma sarà ripresentata, magari in un provvedimento ad hoc. A questo punto, l’arrivo della manovra in Aula della Camera slitta da domani alle 13 a giovedì alle 8, come stabilisce la conferenza dei capigruppo. La discussione generale proseguirà almeno fino alle 11 dopodiché verrà posta la questione di fiducia. Il voto di fiducia si terrà quindi nella tarda mattinata di venerdì. Il termine per gli emendamenti è fissato giovedì alle 8, quello per gli ordini del giorno alle 10.