Marito tradito, niente risarcimento per le “corna”
Il ricorrente ha dichiarato di aver sofferto di un disturbo depressivo
Un tradimento da parte del coniuge, anche se causa grandi sofferenze, non da’ diritto a un risarcimento danni. Lo ha sancito la Cassazione, rigettando il ricorso di un uomo che aveva citato in giudizio l’ex moglie e il suo presunto amante, nonche’, per “mancata vigilanza”, la societa’ datrice di lavoro di cui questi ultimi erano dipendenti. Il ricorrente affermava che, dopo la scoperta della relazione extraconiugale – che gli era stata confessata (e poi smentita) dalla coniuge dopo la fine del loro matrimonio – soffriva di un disturbo depressivo cronico, per cui aveva diritto a un risarcimento pari a oltre 14 mila euro, sia per il danno alla salute che per quello morale. Gia’ in primo grado e in appello, la sua istanza era stata rigettata: i giudici della Corte d’appello di Roma lo avevano anche condannato a risarcire per “lite temeraria” il presunto amante della ex moglie.
La terza sezione civile del ‘Palazzaccio’, con un’ordinanza depositata oggi, ha scritto la parola ‘fine’ al procedimento, confermando la pronuncia della Corte d’appello della Capitale: “La violazione del dovere di fedelta’ – rilevano i supremi giudici – sebbene possa indubbiamente essere causa di un dispiacere per l’altro coniuge e possa provocare la disgregazione del nucleo familiare non automaticamente e’ risarcibile, ma in quanto l’afflizione superi la soglia della tollerabilita’ e si traduca, per le sue modalita’ o per la gravita’ dello sconvolgimento che provoca nell’altro coniuge, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, primi tra tutti il diritto alla salute o alla dignita’ personale e all’onore”. In particolare, l’ordinamento, ricorda la Cassazione, “non tutela il bene del mantenimento della integrita’ della vita familiare fino a prevedere che la sua violazione di per se’ possa essere fonte di una responsabilita’ risarcitoria per dolo o colpa in capo a chi con la sua volonta’ contraria o comunque con il suo comportamento ponga fine o dia causa alla fine di tale legame: l’ammissione di una tale affermazione incondizionata di responsabilita’ – si legge ancora nell’ordinanza – potrebbe andare a confliggere con altri diritti costituzionalmente protessi, quali la liberta’ di autodeterminarsi ed anche la stessa liberta’ di porre fine al legame familiare, riconosciuta dal nostro ordinamento fin dal 1970”.[irp]
Il dovere di fedelta’, insomma, scrive la Corte, “non trova il suo corrispondente in un diritto alla fedelta’ coniugale costituzionalmente protetto, piuttosto la sua violazione e’ sanzionabile civilmente quando, per le modalita’ dei fatti, uno dei coniugi ne riporti un danno alla propria dignita’ personale, o eventualmente un pregiudizio alla salute”. Nel caso in esame, e’ stato “escluso in radice che la violazione del dovere di fedelta’ fosse stata causa della separazione – si sottolinea nell’ordinanza – ed ha escluso anche che il tradimento, per le sue modalita’, avesse potuto recare un apprezzabile pregiudizio all’onore e alla dignita’ del coniuge, in quanto non noto neppure all’ambiente circostante e di lavoro o comunque non posto in essere con modalita’ tali da poter essere lesivo della dignita’ della persona”.
Quanto al presunto amante, i giudici ricordano che questo “non e’ ovviamente soggetto all’obbligo di fedelta’ coniugale e pertanto non potrebbe essere chiamato a rispondere per violazione di tale dovere” e che una sua responsabilita’ puo’ essere affermata solo “se con il proprio comportamento e avuto riguardo alle modalita’ con cui e’ stata condotta la relazione extraconiugale abbia leso o concorso a violare diritti inviolabili, quali la dignita’ e l’onore, del coniuge tradito”, come, ad esempio, “vantandosi della propria conquista nel comune ambiente di lavoro o ne abbia diffuso le immagini”. In merito infine alla posizione della societa’ datrice di lavoro, “non e’ configurabile” una sua “responsabilita’” per “non aver sorvegliato e evitato che tra i dipendenti si instaurassero relazioni personali lesive del diritto alla fedelta’ coniugale: l’ingerenza del datore di lavoro nelle scelte di vita personali del dipendente – conclude la Cassazione – integrerebbe di per se’, al contrario, la violazione di altri diritti costituzionalmente protetti, quali il diritto alla privacy nel luogo di lavoro”.