Cultura e Spettacolo

Il Massimo di Palermo conclude la stagione a tempo di Valzer

Si conclude a passo di valzer la stagione 2019 del Teatro Massimo di Palermo. Il valzer, la danza, ha infatti dominato – in un certo senso – il palco del teatro lirico palermitano: prima con i ballabili e lo splendido “I wanna dance all night” dal musical My Fair Lady, ora con Il valzer dei fiori e le danze tradizionali de

di Piotr Ilic Tchaikovsky. Due mondi apparentemente all’opposto, ma che, entrambi parlano di sogni: quello della piccola fioraia Eliza Doolittle che alla fine trova nello scorbutico Professor Higgins il suo principe, e la piccola Clara che tra lotte contro il Re dei Topi, mondi incantati e Principi di zucchero, trova nella realtà, nell’apprendista dello zio/stregone Drosselmayer, il sognato Principe Schiaccianoci. Ecco quindi che il Teatro Massimo chiude nella giocondità e giocosità, ma anche una riflessione su come, impegnandosi, – così come il Teatro fa ormai da anni – i sogni diventano realtà e si avverano, per aprirsi a gennaio con un altro grande sogno, quello della fede, quello di Parsifal, l’opera di Wagner che prirà la nuova stagione. Ma torniamo ad Eliza e Clara. Con la prima, My Fair Lady, e le note – rese celebri dal film con Audrey Hepburn e Rex Harrison – il direttore Wayne Marshall ha infuso nell’orchestra del Massimo quel pizzico di verve in più, trascinandola nei ritmi danzanti del musical di Frederick Loewe. Per My Fair Lady il regista Paul Curran ha fatto muovere i personaggi nelle scene tipicamente inglesi disegnate da Gary Mc Cann: il mercato di fiori di Covent Garden, la corsa dei cavalli di Ascot, soprattutto lo studio del professor Higgins, interamente rivestito di libri, il tutto in un allestimento che si manteneva fedele al musical su libretto di Alan Jay Lerner.

Ottimo il cast, interamente proveniente dal west end londinese, perfetti nella pronuncia cockney come nella recitazione e nella musicalità. Da Nancy Sullivan, un po’ monolitica nel canto, ma pur sempre deliziosa Eliza, a Robert Hands, lo scorbutico e misogino professor Higgins, professore di fonetica che con i suoi insegnamenti rende possibile la metamorfosi di Eliza. Poi ancora il paziente colonnello Pickering, al secolo John Conroy, e lo stratosferico Martyn Ellis, geniale nella sua interpretazione del padre di Eliza, Alfred P. Doolittle. A corteggiare romanticamente Eliza vi era invece il giovane Freddy Eynsford-Hill interpretato da Rhys Whitfield. Sul fronte Schiaccianoci il coreografo Lienz Chang sposa le due versioni del balletto di Tchaikosky, quella russa e quella occidentale, mescolando e adattando le coreografie della tradizione – da Petipa a Ivanov a Ashton e così via – con qualche incursione nel racconto di Hoffman. Ed ecco quindi che il plot vede Francesca Bellone, nel ruolo di Clara, che riceve in dono dal padrino Drosselmeyer (Vito Bortone) uno schiaccianoci di legno, raffigurante un soldato in alta uniforme. Addormentatasi eccola sognare lo Schiaccianoci, magicamente prendere vita, prendere le forme dell’aiutante di Drosselmeyer (Alessandro Cascioli), e sconfiggere il malvagio re dei topi (Diego Millesimo), per poi portarla in un magico viaggio nel regno della Regina (Francesca Davoli) e del Principe della Neve (Alessandro Casà), fino al regno del principe e della principessa dello zucchero.

Il ridimensionamento delle due versioni operato da Chang priva però entrambe di momenti salienti, come la trasformazione di Schiaccianoci in Principe – nella versione russa – momento particolarmente sottolineato da Tchaikovsky, o alcune variazioni affidate in questo caso ai solisti. Come avviene spesso nel mondo della danza si adattano i classici all’occasione a volte effettuando tagli o compressioni nella storia come anche nella musica. Lo spettacolo del Massimo è comunque godibile per la perizia del corpo di ballo e dei solisti, in particolare i due ospiti, Jacopo Tissi (Principe di zucchero) e Anna Nikulina (Principessa di zucchero), entrambi primi ballerini presso il Bolshoi di Mosca, cui è stato affidato – quasi nella sua interezza originaria – il Pas de Deux finale, uno dei capisaldi del virtuosismo maschile e femminile nella storia della danza. L’orchestra, rigorosamente in buca – come purtroppo ormai si fa in pochi teatri italiani – diretta da Alessandro Cadario, tradisce un po’ lo spirito della partitura di Tchaikovsky, ma per adattarsi alle esigenze del palco, ritmi leggermente più veloci, o sottolineati avrebbe comunque aiutato maggiormente gli interpreti nella difficile perizia dei passi. Scene e costumi nella tradizione: un primo Novecento abbastanza curato, completavano una messa in scena che ha ravvivato la settimana pre natalizia. Del resto Non c’è Natale senza Lo Schiaccianoci, come del resto testimoniano le produzioni dei massimi teatri nel mondo in questi giorni: da Londra a Parigi, da Napoli a Palermo appunto.

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