Una Prima con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la premier, Giorgia Meloni, il presidente del Senato, Ignazio La Russa e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Per l’apertura della nuova stagione, il 7 dicembre al Teatro alla Scala di Milano saranno presenti i vertici dello Stato e un’importante ospite europea, fianco a fianco nel Palco reale ad ascoltare il “Boris Godunov” di Modest Musorgskij. La contemporanea presenza del Capo dello Stato e del presidente del Consiglio, non prevista dal protocollo, si registrò anche nel 2011 con Giorgio Napolitano e Mario Monti, fedele frequentatore del Piermarini prima e dopo il mandato da premier. A completare l’imponente presenza istituzionale, ci sarà il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, ma non si escludono l’arrivo di altri suoi colleghi ministri: un “parterre de rois” che potrebbe finire per oscurare il lato più mondano della serata inaugurale.
Dramma musicale popolare in un prologo e tre atti, basato sull’omonimo dramma di Aleksandr Puskin (ispirato ai grandi drammi storici shakespeariani), che Riccardo Chailly ha voluto per la prima volta alla Scala nella versione originale del 1869, il capolavoro di Musorgskij è ambientato tra il 1598 e il 1605 (il cosiddetto Periodo dei torbidi), e racconta l’ascesa e la caduta di Boris Godunov, che diventa Zar facendo uccidere il legittimo, giovanissimo, erede, per poi morire tra atroci rimorsi e visioni allucinate in una Russia sempre più stremata dalla miseria e dal caos, mentre un esercito straniero guidato dal “fantasma” dello Zarevic marcia su Mosca. Diretto da Riccardo Chailly e firmato dal regista danese Kaspar Holten (con le scenografie della 51enne artista britannica Es Devlin), lo spettacolo che andrà in scena questo Sant’Ambrogio si affida soprattutto alle voci del basso russo Ildar Abdrazakov (Boris), della mezzosoprano norvegese Lilly Jorstad (Fedor), del tenore russo Dmitry Golovnin (Grigorij Otrepev), del soprano russo Anna Denisova (Ksenija) e del basso estone Ain Anger (Pimen). Indosso avranno i costumi che dal 1500 arrivano ai giorni nostri disegnati dalla danese Ida Marie Ellekilde.
L’opera è una metafora sul potere e sull’oscenità della violenza e del dolore, coraggiosa nel raccontare il senso universale della sopraffazione, e innovativa nel suo linguaggio musicale oltre il melodramma e così profondamente calato nella cultura russa. Tragedia personale, quella intima di Boris, e tragedia collettiva, quella dell’onnipresente popolo, tra verità e censura, tra resa e rivolta, sottolineata dalle scene di folla e dagli interventi del coro, formidabili nella loro forza drammatica. Scritta all’età di trent’anni, l’opera fu allora rifiutata dal teatro di San Pietroburgo per la sua modernità. In Italia arrivò nel 1909, alla Scala, nella versione di Rimskij-Korsakov, per poi venire in seguito diretta sempre nel teatro milanese da, tra gli altri, Toscanini, Gavazzeni e Gergiev, fino a quel 1979, quando Claudio Abbado diede a questo caposaldo della scuola musicale russa dell’Ottocento tutta la luce che merita.
Chi “Boris Godunov” l’ha visto in anteprima, gli under-30 che hanno assistito alla “Primina” andata in scena il 4 dicembre, è rimasto molto soddisfatto. Delle poco meno di tre ore di spettacolo di grande fascino, anche se non sempre ‘immediato’, i giovani si sono detti affascinati soprattutto dalla regia, dalla direzione puntuale di Chailly e dalla presenza scenica di Abdrazakov che (alla sua sesta Prima scaligera) “riempie” un palcoscenico su cui grava un senso di dolore e cupezza. Come ogni anno, oltre alla diretta televisiva su Rai1 a partire dalle 17.45, la Prima verrà trasmessa in contemporanea in 35 spazi di tutti i municipi cittadini (più tre nell’area metropolitana), per complessivi 10mila posti gratuiti, dall’Ottagono della Galleria Vittorio Emanuele alla Biblioteca di Baggio. I più fortunati ospiti della Scala si ritroveranno dopo lo spettacolo alla cena alla Società del Giardino: una tradizione ritrovata dopo due anni di stop per il Covid.
Archiviate le (assurde) polemiche per la scelta di un’opera russa in tempi di guerra, recentemente rinfocolate dal console ucraino, questo 7 dicembre capita in un momento particolare per la Scala. Il sovrintendente Dominique Meyer ha infatti annunciato nei giorni scorsi che nel 2022 il Teatro “ha ottenuto più di 44 milioni di sponsorizzazioni, il suo record storico”, con una crescita del 10% della media di spettatori e dei ricavi “giornalieri” al botteghino rispetto agli anni pre-Covid. Notizie positive a cui però fanno da contraltare il taglio ai finanziamenti operato da Regione Lombardia, a cui si aggiungerà l’anno prossimo quello annunciato dal Comune. Il sindaco Sala, che è anche presidente del Cda del Piermarini, ha infatti parlato dell’esigenza dell’Amministrazione di “ribilanciare la spesa culturale”, immaginando che la Scala riceva ulteriori fondi dai privati. A complicare la situazione anche la tensione sindacale interna per il rinnovo del contratto, mentre è sfumato l’intervento alla Prima dei lavoratori della cultura di Cgil, Cisl e Uil che volevano leggere un appello alle Istituzioni per chiedere lo stop dei tagli al settore. Intanto, il Teatro guarda già all’anno prossimo quando ad aprire la stagione 2023-2024 ci sarà il “Don Carlo” di Giuseppe Verdi.