Nino Di Matteo torna alla conquista di una poltrona. Il “padre” del processo sulla trattativa Stato-mafia è tra i sedici candidati alle elezioni suppletive del Consiglio superiore della magistratura di ottobre. Due pm andranno a rimpiazzare i Consiglieri dimissionari Luigi Spina, indagato per favoreggiamento e violazione di segreto e Antonio Lepre, il togato di Magistratura Indipendente, auto sospesosi, dopo che il suo nome era comparso nelle carte dei pm di Perugia che indagano su Luca Palamara nell’ambito di accuse e veleni che hanno scatenato una delle più grosse bufere sulla giustizia italiana degli ultimi anni.
Ed è proprio in questo scenario, che Di Matteo colloca la sua candidatura arrivata dalle correnti di Piercamillo Davigo. “Ho deciso di accettare l’invito con la speranza e l’entusiasmo di dare un contributo alla spallata definitiva a un sistema non più tollerabile: le correnti sono diventate cordate di potere non solo interne, ma anche esterne alla magistratura e condizionano la carriera, e talvolta il lavoro quotidiano del magistrato”. Parole del 58enne pm palermitano rilasciate in una delle tante interviste e che certificano, qualora ce ne fosse bisogno, l’aria che regna all’interno della magistratura. Da venti anni indaga sulle stragi di mafia, Di Matteo, da quando nel 1999 è divenuto pubblico ministero. Sei anni prima era già sotto scorta da cui non s’è mai staccato.
Venti anni nel corso dei quali è riuscito a guadagnarsi i riflettori anche grazie a pubblicazioni di libri, a decine e decine di onorificenze conquistate sul campo. Per non parlare di bordate lanciate contro il mondo politico e a volte contro le stesse istituzioni. L’ultimo “incidente”, lo scorso maggio davanti alle telecamere de La 7. Un’intervista che gli è costata l’estromissione dal pool “stragi” costituito presso la Direzione nazionale antimafia, perché “si è interrotto il rapporto di fiducia all’interno del gruppo e con le direzioni distrettuali antimafia” per dirla con lo stesso procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho. E proprio de Raho e Di Matteo, saranno auditi domani in Palazzo dei Marescialli che vuole fare chiarezza sulla vicenda.
C’è anche l’ex segretario di Magistratura democratica Anna Canepa, anche lei ora in servizio alla procura guidata da Federico Cafiero De Raho e in passato pm a Genova, dove si e’ occupata delle devastazioni dei Black Block al G8, tra i sedici candidati al Csm. Come pure il procuratore aggiunto di Milano, Tiziana Siciliano e il procuratore di Pisa, Alessandro Crini. Tutte candidature, come ha sottolineato il presidente dell’Anm, Luca Poniz, frutto di “un successo della linea dell’Associazione, che ha stimolato l’idea di una competizione vera e aperta”. “Alcune infatti sono riconducibili a gruppi – ha sottolineato Poniz – mentre altre sono espressione di esperienze personali”. Buoni propositi.
Intanto, alcuni magistrati, tra cui proprio Di Matteo, tornano nel mirino di Fiammetta Borsellino che dalle pagine del Corriere ha chiosato: “A Caltanissetta c’era una Procura massonica, venticinque anni di schifezze e menzogne. Un balordo della Guadagna come pentito fasullo”. L’ultimogenita del magistrato Paolo, ucciso nella strage di via D’Amelio, fa anche nomi e cognomi: “La Procura nissena era guidata all’epoca da Gianni Tinebra che è morto, ma dove c’erano Annamaria Palma, Carmelo Petralia, Nino Di Matteo”. La bufera non si arresta.