Se oggi siete a Roma, e vi trovate a passare su ponte Matteotti, tornate indietro nel tempo, al 10 giugno 1924. Quel giorno di 91 anni fa, fu infatti rapito nei pressi del ponte, che collega il lungotevere Arnaldo da Brescia a piazza delle Cinque giornate, e ucciso, Giacomo Matteotti, il leader del Partito socialista unitario, da un gruppo di fascisti. Pochi giorni prima Matteotti aveva denunciato con un duro intervento alla Camera dei deputati le violenze che avevano accompagnato la vittoria fascista nelle elezioni del 6 aprile, e il giorno in cui fu rapito si stava recando a Montecitorio.
Benché il suo corpo fu ritrovato solo in agosto nella campagna romana, la sua sparizione provocò da subito una crisi politica che fece vacillare il governo Mussolini. Le opposizioni, in segno di protesta, deciso di disertare i lavoro parlamentari (la cosiddetta secessione dell’Aventino). Il duce, da parte sua, negò inizialmente ogni coinvolgimento nel delitto. Il 3 gennaio 1925 però, incalzato dai fascisti intransigenti, Mussolini con un discorso alla Camera si assunse infine la responsabilità di quanto accaduto, attuando così la definitiva svolta che portò all’instaurazione della dittatura.