Politica

Meeting Cl si allontana da politica e tenta carta autonomia. Parola d’ordine: dialogare con tutti

Sono lontani gli anni in cui si arrivava a Rimini e ci si trovava in mezzo ai centurioni del centrodestra. Certo, anche qui ci saranno sempre i soliti giapponesi dispersi nella giungla che pensano ancora a quei tempi, ma il segno che lascia il Meeting quest’anno è inequivocabile. Comunione e liberazione si allontana dalle antiche sponde (politiche) e tenta di giocare con maggior determinazione la carta dell’autonomia, dialogando con tutti. E, almeno nelle espressioni verbali e nell’ispirazione, è indubbio che papa Francesco ha lasciato anche qui un segno profondo. Niente più ‘randellate’ alla sinistra e ‘occhi chiusi’ all’immoralità del centrodestra delle olgettine e degli scandali. Qui si sono sentiti applausi a Prodi e nessun fischio ai ministri del governo Renzi. E sembrano lontani anni luce i “5 Stelle” della trivialità e degli attacchi. Sull’esigenza di dialogo, dire stop alla demonizzazione dell’avversario e dare spazio al positivo anziché alla denuncia di tutto, c’è una sorprendente e forse involontaria affinità con i toni della narrazione renziana. Cosa sta accadendo al movimento di don Giussani (foto)? A tre anni dall’ammonimento di don Julián Carrón (“Qualche pretesto dobbiamo averlo dato” se Cl “è continuamente identificato con l’attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che fare con quello che abbiamo incontrato” aveva scritto nel 2012 a “Repubblica”), è già tempo di bilanci.

Durante i giorni del Meeting, il padre spirituale della fraternità in un’intervista al “Corriere della Sera” ha detto che “spogliarsi del potere non vuol dire perdere l’identità”. “Quello di quest’anno è un punto d’arrivo di un cammino e l’inizio di un dopo – spiega ad Askanews Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà -. E’ come se si fosse scoperto, come dice Carrón, che la questione che aiuta è la presenza e non l’egemonia. Questi anni sono stati una trasformazione radicale. Del resto è giusto perché un movimento è un essere vivente, non è chiuso”. Ecco perché a fare da contorno a tutti gli eventi del Meeting, oltre al messaggio di Bergoglio, sono state le parole del Capo dello Stato che, per la prima volta a Rimini, ha inaugurato la kermesse tagliando il nastro alla mostra “L’incontro con l’altro”, un viaggio nei settant’anni di vita italiana da quel 2 giugno 1946 in cui fu scelta la Repubblica e abbandonata la monarchia. “Per spezzare la catena dell’autoreferenzialità (à) è necessario dare il giusto valore all’altro. Dare valore al dialogo. Mettere insieme le speranze e l’amicizia”. Anche per questo è azzeccato, secondo Sergio Mattarella, il titolo della 37esima edizione “Tu sei un bene per me”.

Quella mostra (che è un insieme di storie che mostrano come il futuro dell’Italia è nelle mani di cittadini consapevoli, capaci di leggere nella storia il senso della propria vita, dai protagonisti della scena pubblica a cittadini comuni giovani o meno giovani) è stata anche il pretesto per mettere a fuoco il tema delle riforme costituzionali, a poche settimane dal referendum, confrontando le ragioni del sì e quelle del no. Il ministro Maria Elena Boschi avrebbe dovuto concludere la settimana di dibattito; appuntamento saltato dopo la tragedia che ha colpito il Centro Italia dopo la scossa di terremoto. “Rimango dell’idea che vi sono molte luci e molte ombre. Vorrei capire in termini generali, entrando nel merito se è giusto premiare le luci o fermare il tutto in nome delle ombre – taglia corto Vittadini -. Perché nel merito ho già detto che tutta la parte istituzionale è positiva, la parte federalista è negativa. Bisogna capire se il processo politico è tale per cui le parti negative saranno comunque riprese in un percorso comune virtuoso oppure rimarranno lì. Se rimarranno lì è meglio votare no, se invece è un processo in atto si prende quel che è e poi si cambierà il resto”.

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