Giorgia Meloni
Rallentare il “treno” anglo-francese cercando di ottenere una cornice che dia una copertura internazionale alle eventuali truppe di peacekeeping da inviare in Ucraina. Consapevole che se (o più probabilmente, quando) all’Italia arriverà la richiesta sarà molto difficile tirarsi indietro, ma ci sarà da gestire il “no” secco di Matteo Salvini. E’ questa la tattica che sta portando avanti Giorgia Meloni, in questa fase in cui l’Europa cerca di rientrare in gioco dopo essere stata tagliata fuori dall’iniziativa di Donald Trump sull’Ucraina.
E sono giorni convulsi, in cui si susseguono gli incontri. Dopo l’incontro tra Emmanuel Macron e il tycoon alla Casa Bianca, questa mattina il presidente francese ha riferito ai leader europei convocati in videoconferenza dal presidente del Consiglio Ue Antonio Costa. Poco più di mezz’ora, per il ‘debriefing’ di Macron sull’incontro, a cui sono seguite alcune domande (non da parte di Meloni, secondo quanto si apprende). Domani da Trump arriverà Keir Starmer, che domenica sera ha convocato i “volenterosi” a Londra.
Poi il 6 marzo a Bruxelles si terrà il Consiglio europeo straordinario, in cui – ha spiegato Costa – “prenderemo decisioni sul nostro sostegno all’Ucraina e sul rafforzamento della difesa europea”. In tutti questi incontri, Meloni ha ribadito la sua linea, quella di un leader che ha visto come una “fuga in avanti” quella del (mai amato) presidente francese e che ha la difficoltà di mantenersi in equilibrio tra l’Europa e il “rapporto privilegiato” con il nuovo presidente Usa, le cui dichiarazioni e strategie di comunicazione (ultimo il video di oggi su Gaza) creano più di qualche imbarazzo. Al termine dell’incontro con il premier svedese Ulf Kristersson a Palazzo Chigi, Meloni ha ribadito che “lavoriamo per gettare le basi per una pace giusta e duratura in Ucraina”, che sarà raggiungibile “solo se a Kiev vengono fornite adeguate garanzie di sicurezza”.
Le quali “devono essere realizzate nel contesto della Nato” mentre altre soluzioni, ovvero il contingente europeo proposto da Macron e Starmer, “sono più complesse e meno efficaci”. In questa linea a fare il gioco di Meloni sono due ‘big’ come Germania e Polonia, entrambe molto dubbiose sul progetto di Parigi e Londra. Quel che serve è un “cappello” più ampio dunque, meglio se delle Nazioni Unite (e il modello sarebbe l’Unifil al lavoro in Libano) o almeno della Nato con il coinvolgimento Usa.
Senza questo “cappello” le garanzie di sicurezza non sarebbero pienamente rispettate, è la convinzione di Meloni. Che però agisce anche sapendo bene di avere un problema politico interno, forse il più grande dalla nascita del governo. A preoccupare la premier sul dossier Ucraina non sono le opposizioni, che pure hanno iniziato ad incalzare il governo chiedendo alla premier di riferire in Parlamento prima del Consiglio Ue del 6 marzo (“Questo Consiglio straordinario richiede un confronto parlamentare inevitabile”, ha detto oggi la capogruppo Pd alla Camera, Chiara Braga), ma la Lega di Matteo Salvini, che ha già espresso un secco “no” a un dispiegamento in Ucraina di militari italiani.
Il leader e vicepremier lo ha confermato anche questa mattina in una conferenza stampa, non a caso, con i giornalisti esteri. “Abbiamo 7500 soldati italiani impegnati in missioni di pace – ha detto Salvini, che oggi ha anche incontrato l’inviato speciale di Trump per l’Italia Paolo Zampolli – prima di spendere un euro in più o ipotizzare l’invio di un soldato in più bisogna essere certi di quello che si fa, l’esempio dell’Afghanistan non è lontano dalla nostra memoria”. E comunque, ha ironizzato, “se mettessimo una Von der Leyen a capo di un esercito comune europeo, dura venti minuti e poi si arrende”.
Il leader leghista ha anche auspicato che l’Europa “torni ad avere nella Russia un interlocutore”, criticando il processo di adesione dell’Ucraina alla Ue: “Sarebbe curioso – ha accusato – che aderisse all’Europa prima dell’Albania e della Serbia che sono in attesa da una vita”. Al momento il contrasto resta alle dichiarazioni, né sarà promosso un chiarimento a breve, prima di sapere quale sarà il quadro delle prossime settimane. Se arriverà il momento in cui saranno chieste truppe italiane, Meloni lo sa, la posizione leghista sarà una “bomba” da maneggiare con grande attenzione.
Un tema ben chiaro al ministro della Difesa Guido Crosetto, che nel pomeriggio ha scritto un post su X molto duro nei confronti del “presidente di una nazione comunitaria e quello di una nazione extracomunitaria” che pensano di inviare contingenti “come si invia un fax e per poter fare un comunicato stampa” senza “la creanza di confrontarsi con le altre nazioni”. Per l’Italia, ricorda, un nuovo impegno internazionale “dovrebbe avere dei passaggi parlamentari, molteplici e complessi” peraltro “successivi ad aver verificato con scrupolo ed attenzione tutti gli aspetti tecnico-logistici-operativi-capacitivi e le conseguenti necessità di risorse finanziarie”.