Giorgia Meloni è stata accontentata. La presidente del Consiglio aveva ormai da qualche settimana chiesto un cambio al vertice del Tesoro, con la sostituzione del direttore generale Alessandro Rivera, e il Consiglio dei ministri ha dato via libera alla sostituzione. Nominato dal ministro Giovanni Tria nel 2018 (governo Conte I), Rivera fino ad allora aveva gestito per il Mef le principali crisi bancarie. Confermato da Mario Draghi, fin da subito non aveva però incontrato le simpatie della presidente del Consiglio. Una scarsa fiducia (che sarebbe stata ulteriormente incrinata nelle ore decisive per l’approvazione della manovra di bilancio) che l’aveva convinta a chiederne la rimozione.
Una richiesta su cui, inizialmente, secondo quanto si apprende, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, ma non solo, aveva cercato di resistere. Alla fine, però, Meloni ha avuto la meglio. Del resto il tempo a disposizione stava scadendo: le norme sullo spoil system prevedono per le nomine una finestra di 90 giorni, che sarebbero scaduti martedì prossimo. Da qui l’accelerazione: nel primo pomeriggio di ieri Giorgetti ha inviato a Palazzo Chigi la lista da sottoporre alla decisione del Consiglio. Confermato alla Ragioneria Biagio Mazzotta, al posto di Rivera arriva Riccardo Barbieri mentre all’amministrazione generale del personale e dei servizi Ilaria Antonini. Il nome di Barbieri è arrivato un po’ a sorpresa: per la poltrona di dg del Tesoro sembrava infatti in pole position Antonino Turicchi, attuale presidente di Ita. Alla fine, e questa è stata la probabile mediazione, Meloni ha ottenuto la testa di Rivera, ma la continuità è stata preservata con la nomina di un “interno”.
Romano, 64 anni, laureato alla Bocconi (come Giorgetti) e con un Ph.D. in Economics alla New York University, Barbieri è un esperto di macro-economia e di mercati dell`Eurozona. Cosa utile anche a rassicurare Bruxelles. Dopo la “tregua” raggiunta sull’autonomia, Giorgia Meloni chiude così un’altra partita che stava creando tensioni nell’esecutivo. Adesso c’è però da affrontare la “curva pericolosa” della ratifica del Mes. La Lega (a partire da Claudio Borghi) è in fibrillazione e certo non può bastare a calmare gli animi la richiesta di “correttivi” avanzata dal governo né l’assicurazione, ribadita più volte dalla premier, che l’Italia non accederà mai al meccanismo fino a quando sarà in carica. “Credo che si andrà in una direzione positiva. Poi bisogna vedere come formulare, cosa cambiare, cosa funziona e cosa no, se l’Italia lo utilizzerà”, ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani (Fi).
Del resto Meloni non ha grandi alternative: l’Italia è l’unico Stato a non averlo ancora ratificato. Non un bel viatico per andare a chiedere solidarietà sui migranti e flessibilità sul Pnrr. La questione, però, ormai dovrebbe essere rimandata a dopo le regionali: troppo rischioso aprire un fronte di scontro interno con il Carroccio alla vigilia del voto in Lazio e Lombardia. Intanto inizia dal prossimo fine settimana una serie di missioni all’estero: Meloni sarà domenica e lunedì ad Algeri per parlare soprattutto di gas ma anche di migranti. Il 9 e 10 febbraio sarà poi al Consiglio europeo straordinario a Bruxelles, che sarà preparato da una serie di colloqui telefonici con altri leader e da una o due trasferte. Sicura la tappa in Svezia (presidente di turno dell’Ue) a inizio febbraio, possibile un altro appuntamento.