Giorgia Meloni sente i leader alleati per fare il punto sulla situazione in Ucraina e prepara il viaggio in Libia, ma con un occhio (e anche di più) alle tensioni interne alla maggioranza. La presidente del Consiglio questo pomeriggio ha partecipato a una riunione in videoconferenza con il presidente americano Joe Biden, il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il premier britannico Rishi Sunak. Sul tavolo il sostegno a Kiev e in particolare l’invio di nuovi armamenti. Sbloccato l’invio dei carri armati tedeschi Leopard 2 e degli Abrams americani, l’Italia è pronta a inviare i sistemi di missili terra-aria Samp-T, essenziali per la difesa aerea. Dopo l’ok della Camera, ieri, alla conversione del decreto Ucraina (contrari M5s e Avs, oltre ad alcuni esponenti del Pd), la fornitura sarà inserita nel sesto decreto armi, che sarà varato nei prossimi giorni, forse anche domani.
Nel pacchetto dovrebbero entrare anche i vecchi missili terra-aria Aspide. Nel corso della telefonata di oggi, Meloni e gli altri leader hanno ribadito “l’importanza di una costante forte coesione tra alleati nel continuare a fornire assistenza a Kiev a 360 gradi”. Intanto, appena rientrata da Algeri, Meloni prepara una nuova missione che sabato (salvo cambiamenti dell’ultima ora) la porterà a Tripoli, in Libia, accompagnata dai ministri degli Esteri Antonio Tajani e degli Interni Matteo Piantedosi. Due i temi principali sul tavolo: in primo luogo le forniture energetiche. Secondo il presidente della National Oil Corp (Noc) Farhat Bengdara verrà firmato con Eni un accordo da 8 miliardi riguardante due giacimenti di gas offshore nel Mediterraneo. Poi c’è la questione dei migranti, con la richiesta al governo libico di fare di più per fermare le partenze.
La settimana prossima, in vista del Consiglio europeo di Bruxelles del 9 e 10 (con all’ordine del giorno, tra le altre cose, i migranti), la presidente del Consiglio farà una rapida visita a Stoccolma la mattina del 3 febbraio. La Svezia è presidente di turno dell’Ue e sui migranti ha più volte fatto sapere di non essere favorevole a modifiche agli attuali trattati. Possibile ma non ancora confermato, nello stesso giorno, anche una tappa a Berlino per un incontro e una cena con Scholz. In questo fitto programma internazionale, però, l’inquilina di Palazzo Chigi deve fare i conti con le fibrillazioni (vecchie e nuove) che attraversano la maggioranza e che sembrano acuite dall’avvicinarsi delle regionali in Lazio e Lombardia. Oggi, ai fronti già aperti, si è aggiunta la tensione con la Lega sul decreto Ong, ora all’esame delle commissioni Affari costituzionali e Trasporti alla Camera. Il Carroccio ha presentato 13 emendamenti, che puntavano a cambiare il testo unico sull’immigrazione. Emendamenti che sono stati dichiarati inammissibili dai presidenti Nazario Pagano (Fi) e Salvatore Deidda (Fdi), che hanno accolto le richieste delle opposizioni.
La Lega ha fatto ricorso e si deciderà domani ma anche se per Forza Italia “si tratta di una decisione ‘tecnica’ e non di un giudizio politico”, non c’è dubbio che la questione crea un problema nella maggioranza. Così come lo creano la questione giustizia e le posizioni di Carlo Nordio sulle intercettazioni. Il ministro della Giustizia è sostenuto da Forza Italia, mentre la Lega frena. Domani Meloni dovrebbe vedere il Guardasigilli, ufficialmente per stendere un “cronoprogramma” delle riforme, in realtà per cercare di ‘limitare’ le esternazioni di Nordio, preoccupata di un possibile “scontro” con la magistratura. In stand-by, invece, la questione Autonomia. La Lega ha ottenuto, la scorsa settimana, un via libera “preliminare” alla bozza di riforma prima delle regionali e il ministro Roberto Calderoli avrebbe voluto portarla già nel primo Consiglio dei ministri disponibile, che tradizionalmente si tiene il giovedì. Consiglio che però, al momento, non è segnato nell’agenda di domani.
Sul fronte più politico, non va trascurata la polemica nata dalla decisione di Meloni di commissariare Fdi a Roma, affidando la pratica a Giovanni Donzelli. Una scelta che, secondo le interpretazioni di vari commentatori, è un nuovo “schiaffo” a Guido Rampelli, vicepresidente della Camera. Rampelli ha sostenuto Meloni dagli esordi in politica, non è entrato nel governo né è stato scelto come candidato alla Regione Lazio. L’interessato smentisce che ieri ci sia stata una riunione di ‘corrente’ (i “gabbiani”) parlando di “farneticazioni” giornalistiche, ma la decisione di Meloni ha sicuramente creato malumori nella città in cui Fdi è nato e ha la sua base storica. Sullo sfondo resta quello che appare essere il problema principale per la maggioranza di centrodestra: la ratifica del Mes. Ma di questo, è chiaro, non si parlerà prima del voto in Lazio e Lombardia.