Sul soccorso in mare ai migranti il governo ha la “coscienza a posto” e chi lo nega “per fini politici” non solo mette “in discussione l’operato di chi ogni giorno rischia la vita” ma “calunnia” l’Italia e rende la sua posizione più debole. Il primo question time da premier di Giorgia Meloni (molto atteso in particolare per il ‘confronto’ con la segretaria Pd Elly Schlein) ha avuto ancora al centro il tema dei migranti dopo la tragedia di Cutro e il naufragio al largo delle coste libiche in cui sono morte 30 persone. Proprio su quest’ultimo episodio si è soffermato il deputato di +Europa Riccardo Magi, chiedendo spiegazioni sul mancato intervento italiano, denunciato anche da alcune Ong. Nella sua ricostruzione, Meloni ha citato la relazione del capo della centrale operativa della Guardia costiera Gianluca D’Agostino, assicurando che “tutte le norme sono state applicate”. In particolare, il naufragio è avvenuto “in area Sar di responsabilità della Libia” e l’Italia è intervenuta “su esplicita richiesta” delle autorità libiche, ma “le nostre unità Sar non potevano partire perché non avevano autonomia sufficiente per andare e tornare in sicurezza e le altre sarebbero sopraggiunte in 20 ore di navigazione ma erano impegnate in altri soccorsi”.
Per questo sono state attivate navi mercantili. Dunque “la nostra coscienza è a posto, spero che chi attacca il governo e non dice una parola sulla mafia degli scafisti possa dire lo stesso”. Le ultime tragiche morti in mare, comunque, non mutano la linea di Meloni, che domani mattina a Palazzo Chigi riceverà i parenti e i superstiti del naufragio di Cutro: “Finché ci saranno partenze su barche in pessime condizioni e a volte in pessime condizioni meteo ci saranno perdite di vita. Dobbiamo prevenire i trafficanti e investire sulle rotte legali”, in “un quadro di responsabilità che deve coinvolgere gli altri Stati europei” da cui devono arrivare “risposte immediate”. Altro tema ‘caldo’ del giorno (per le divisioni sul punto della maggioranza) è la ratifica del Mes, posto da Luigi Marattin di Italia viva, che ha chiesto, secco, quando il governo intende dare via libera al trattato già approvato da tutti gli altri Stati europei. Domanda a cui la premier non dà una risposta precisa, ribadendo quanto già affermato in passato. Meloni ha espresso nuovamente i suoi dubbi su uno strumento che “ha esercitato la sua funzione pochissime volte” e a cui l’Italia non accederà “finché ci sarà un governo guidato dalla sottoscritta”.
Per Meloni il Mes non è uno strumento valido perché frutto di una “linea austeritaria” su cui “molti si sono dovuti ricredere”. Dunque “sarebbe sensato interrogarsi sullo strumento” e l’Italia vuole “discutere della governance europea e della possibilità che le risorse destinate al salva-Stati possano essere davvero utili agli Stati che aderiscono”. Altro tema europeo posto nel question time è quello dello stop europeo alla vendita delle auto a benzina e diesel dal 2035, su cui l’Italia si è opposta trovando anche l’appoggio di altri Paesi. Il governo, ha assicurato, concorda con gli obiettivi della transizione ecologica, ma “senza devastare il nostro sistema produttivo e creare altri disoccupati. Questo non siamo disposti a farlo”. In questo quadro Roma continuerà a fare le sue ragioni in Europa, mentre “a livello nazionale moduliamo gli incentivi su una varietà di tecnologie che garantiscano l’uscita dai carburanti senza un appiattimento acritico su strategie che privilegiano gli interessi delle altre nazioni e puniscono gli interessi dei nostri lavoratori”. Rispondendo al Movimento 5 stelle, Meloni ha anche duramente attaccato il superbonus, che “gratuitamente” – ha detto citando sarcasticamente un’espressione di Giuseppe Conte – ha causato “distorsioni” e fatto sì che alcuni soggetti abbiano “lucrato” su “improprie rendite di posizione”.