Circa 200 cittadini di diversi Paesi sudamericani hanno animato a Tijuana, in Messico, una “via crucis dei migranti”, organizzata dalle Ong “People without borders” e “Angels without borders”, ai confini del Paese. Un’ottantina di loro, in fuga dalle violenze dei rispettivi Paesi, sono riusciti a varcare la frontiera vicino a San Diego e chiedere asilo negli Stati Uniti. In marcia anche molte persone vittime di abusi e pregiudizi come Kenci, una transessuale. “Il motivo per cui sono qui – ha spiegato – è che nel mio Paese non c’è posto per quelle come me. C’è molta discriminazione nei confronti delle ragazze transgender e non si può trovare un lavoro normale”. Diquenis, invece, è un giornalista dell’Honduras, perseguitato, racconta, per aver denunciato la corruzione e il malaffare all’interno delle istituzioni del suo Paese. “Abbiamo pubblicato notizie scomode per gran parte del nostro governo e abbiamo avuto molti problemi per questo – racconta – ci hanno perseguitati, hanno anche tentato di ucciderci e sparato contro la nostra casa. Eravamo in pericolo in auto, in moto, per questo abbiamo deciso di fuggire e venire qui”. La carovana dei migranti, è partita il 9 aprile da Tapachula, in Guatemala, varco d’accesso per il Messico, dove però non hanno ottenuto il permesso di soggiorno. Lungo tutto il tragitto verso gli Stati Uniti sono stati costantemente monitorati e accompagnati, per ragioni di sicurezza, dai volontari che hanno prestato loro assistenza anche per le pratiche di richiesta d’asilo con le autorità americane.