Il voto di midterm di ieri consegna agli Usa un Congresso profondamente diviso, specchio di un Paese provato da due anni di politica urlata, fondata sulla guerra al nemico interno. I democratici sull’onda della rabbia verso Donald Trump riconquistano la Camera dopo otto anni e ottengono poltrone chiave di governatore, con liberali e moderati uniti contro il presidente, ma i repubblicani rafforzano la loro maggioranza al Senato, conquistando una serie di seggi in stati di orientamento conservatore.
Entrambi i partiti possono vantare grandi successi a livello statale. Governatori repubblicani sono stati eletti in Ohio e Florida, due importanti campi di battaglia per le presidenziali del 2020. Ma i democratici hanno battuto il governatore Scott Walker, repubblicano del Wisconsin e bersaglio di prima grandezza, e conquistato la poltrona di governatore in Michigan, due stati vinti da Trump nella presidenziali del 2016. Spinti da un’affluenza insolitamente elevata per il voto di midterm, che testimonia l’intensità del movimento anti-Trump, i democratici hanno strappato ai rivali almeno 26 seggi della Camera grazie al forte sostegno di cui godono nelle aree suburbane e cittadine, un tempo roccaforti del potere repubblicano.
Dai sobborghi di Richmond e Chicago e addirittura da Oklahoma City, un gran numero di candidati all’insegna della diversità, moltissime donne, molti alle prime armi, ha vinto contro i repubblicani. Ma le divisioni politiche e culturali interne agli Usa sono sottolineate dal risultato del Senato, dove molti dei seggi in palio erano in stati rurali. Qui i repubblicani hanno rafforzato la loro maggioranza vincendo in Indiana, North Dakota e Missouri e respingendo la sfida di alto profilo di Beto O`Rourke al senatore Ted Cruz in Texas. In due sfide chiave nel Sud, i candidati progressisti afroamericani a governatori, che hanno fatto sognare i liberali in tuttio il Paese, hanno perso ad opera di fedelissimi di Trump, un segnale che il cambimento demografico è ancora troppo lento per portare i democratici alla vittoria.
Il segretario di Stato Brian Kemp in Georgia è davanti a Stacey Abrams, che puntava a diventare le prima donna nera governatrice, e l’ex deputato Ron DeSantis ha battuto di un soffio Andrew Gillum, sindaco di Tallahassee, nel campo di battaglia presidenziale della Florida. Festeggiando a Washington, Nancy Pelosi, capogruppo democratica che potrebbe presto tornare a presiedere al Camera, ha sottolineato quanto è importante per il successo del partito tenere a freno Trump e sotto sorveglianza il governo. “Quando vincono i democratici, e stasera vinceremo, abbiamo un Congresso aperto, trasparente e repsonsabile per il popolo americano”. Ma ieri in un incontro con finanziatori democratici ha detto che un tentativo di impeachment di Trump non è in agenda, scrive il New York Times.
Una Camera democratica però è un segno chiaro che la maggioranza deigli americani vuole porre limiti a Trump nei prossimi due anni di mandato. L’opposizione ha ora il potere di convocare i testimoni nelle indagini parlamentari e il procuratore speciale Robert Mueller si prepara a chiudere alcuni filoni della sua inchiesta sul Russiagate in un contesto politico nettamente più ostile al presidente, il quale si prepara a farsi rieleggere nel 2020. Trump ieri ha taciuto, ma poi in nottata ha twittato vantando il “tremendo successo” repubblicano. Per i repubblicani la perdita della Camera rivela che anche Trump non può sfidare per sempre la gravità politica. Ma non solo: segnala che molti moderati, i quali hanno votato Trump nel 2016 cone alternativa possibile a Hillary Clinton, si sono allontanati dalla retorica incendiaria e dal nazionalismo di estrema destra del presidente, che ha inondato gli elettori negli ultimi giorni della campagna con bugie, teorie del complotto e invettive sui migranti.
Senza volerlo il presidente ha galvanizzato un nuovo attivismo democratico isprando centinaia di migliaia di persone infuriate e disorientate dalla sua vittoria elettorale a sorpresa a scendere nell’agone politico per la prima volta nelle loro vite. Ma non solo, ha fatto sì che gli eletti democratici rispecchino più da vicino la composizione della base dei partito. La stessa base che ha inondato di dollari in piccole donazioni le casse dei candidati democratici, oscurando i finanziamenti tradizionali dei grandi donatori. La cosiddetta resistenza liberale sostenuta da donne, afroamericani e minoranze è ben rappresentata nella nuova Camera. Secondo le proiezioni saranno cento le donne a sedere sui suoi scranni, un record che straccia quello precedente di 84.
Ma ora toccherà al partito riunire correnti molto diverse accomunate dall’opposizione a Trump per farne una base elettorale per un possibile candidato presidenziale nel 2020. E le nuove star progressiste del partito non sono riuscite a far cadere le roccaforti repubblicane, come testimoniano le sconfitte di Beto O’Rourke al Senato in Texas e di Andrew Gillum al voto per governatore della Florida. Mentre il crollo democratico nelle aree rurali, iniziato con Obama, non si è fermato ieri. Trump ha affrontato la campagna di midterm con un referendum sul suo operato ed è riuscito a mantenere il forte sostegno della base conservatrice negli stati “rossi”, rafforzando la presa del suo partito sul Senato ed estendendo il dominio su stati storicamente incerti, cruciali per la sua rielezione nel 2020, come Florida, Iowa e Ohio, dove il Gop ha mantenuto i governatori.