Il Consiglio straordinario Affari interni dell’Ue dedicato alla questione migratoria, che si è svolto venerdì a Bruxelles, non ha rimarginato ancora del tutto la frattura creata dalla polemica tra Francia e Italia sulla vicenda Ocean Viking, come ha dimostrato con le sue dichiarazioni, per nulla concilianti sulla ripresa dei ricollocamenti volontari, il ministro francese dell’Interno Gérard Darmanin. Ma, al di là questione controversa del messaggio sui “porti chiusi”, c’è un punto tra quelli sollevati dall’Italia che sembra avere incontrato orecchie attente e un forte consenso, anche se probabilmente ancora non unanime: è quello della critica al “modus operandi” delle Ong, e della necessità di inquadrarne le attività di ricerca e soccorso in mare con un codice di condotta europeo, simile a quello già adottato a livello nazionale. Ne ha parlato diffusamente, ad esempio, il vicepresidente della Commissione europea Margaritis Schinas, che ha la responsabilità per l’immigrazione (ma il suo portafogli si chiama “European way of life”). “Dobbiamo lavorare con le Ong, ma in modo ordinato, in modo da rispettare anche i nostri Stati membri, in modo da strutturare le operazioni di ricerca e soccorso con un metodo operativo costruttivo. E se ciò richiede un quadro più strutturato, come un codice di condotta, allora sì, lo sosterremo”, ha detto Schinas rispondendo ai giornalisti al suo arrivo al Consiglio.
La questione Ong
E durante la conferenza stampa conclusiva della riunione, il vicepresidente della Commissione ha aggiunto: “Per me le Ong e le operazioni delle Ong non sono un soggetto tabù, non sono qualcosa che non debba essere discusso. Credo anzi che che se ne debba discutere, perché stiamo parlando della vita delle persone; e penso anche che le operazioni nel Mediterraneo e in altri mari non possono essere condotte in una situazione da ‘Wild Wild West’ dove tutti fanno ciò che vogliono e va bene così”. “Abbiamo bisogno – ha insistito Schinas – di ordine, di un quadro, di cooperazione e di dialogo fra gli Stati membri implicati e le Ong. Abbiamo bisogno di impegno (‘commitment’, ndr) e di un sistema ordinato, e penso che questo sia possibile”. “La Commissione – ha ricordato – non ha la competenza giuridica per produrre un codice di condotta paneuropeo” per le Ong, e perciò “sarebbe molto difficile farlo; ma vedo invece come perfettamente possibile che la Commissione aiuti gli Stati interessati a produrre un set di regole, principi, strategie, cooperazione e impegni, in modo che non si abbiano più situazioni di questo tipo che conducono a crisi difficili”.
“Wild Wild West”
Il Patto per l’immigrazione e l’asilo volto a riformare tutta la legislazione del settore, che è stato proposto dalla Commissione due anni fa ma ha fatto pochi passi avanti da allora, prevede l’istituzione di un “gruppo di contatto” su ricerca e soccorso in mare. “Abbiamo questo ‘Gruppo di contatto’ – ha ricordato Schinas – una struttura in cui saremo in grado di discutere con gli Stati membri, e penso che qui dovremmo cominciare, questo è il posto dove le Ong dovrebbero venire, dove dovrebbero impegnarsi; e poi vedremo quale forma tutto questo potrà assumere. Ma abbiamo bisogno di dialogo, abbiamo bisogno di regole, abbiamo bisogno di ordine”. La definizione “Wild Wild West” attribuita al modo in cui operano le Ong “è un ‘sound bite’: descrive – ha spiegato il vicepresidente della Commissione – una situazione in cui le operazioni di soccorso in mare si svolgono senza alcun coordinamento, senza alcuna una relazione fra coloro che operano” i salvataggi “e coloro che ricevono” le persone soccorse. “Allora penso – ha rilevato Schinas – che ci sia effettivamente un margine di lavoro per questo impegno reciproco; penso che sia anche dell’interesse delle Ong e anche nell’interesse degli Stati membri accettare le stesse Ong in questo Gruppo di contatto per affrontare insieme ciò che bisogna fare”.
La legge internazionale
Il vicepresidente della Commissione, comunque, ha avvertito che questo “inquadramento” delle attività delle Ong deve avvenire rispettando le norme internazionali e il diritto del mare. “La legge internazionale – ha ricordato – obbliga gli Stati membri che sono responsabili delle aree Sar di ricerca e soccorso a fare ciò che è necessario, il che significa salvare la vita delle persone, portarle nei porti e determinare il loro status. Questo è il modus operandi”, ha concluso. La questione è stata sollevata anche dallo stesso Gérard Darmanin, con tutt’altro tono rispetto alla sua intransigenza nei confronti dell’Italia sulla questione dei porti e dei ricollocamenti. Tra i punti del Piano d’azione presentato oggi dalla Commissione al Consiglio Affari interni c’è anche, ha affermato Darmanin a margine della riunione, “il fatto che dobbiamo ricordare a tutti il diritto del mare, menzionare il fatto che le Ong che sono nel Mediterraneo ovviamente sono lì per salvare le persone, e – ha aggiunto – in nessun modo per essere un collegamento con qualsiasi organizzazione di trafficanti”.
Porti aperti
“E ricordare soprattutto – ha continuato il ministro francese – che anche i Paesi del Sud del Mediterraneo devono aprire i loro porti, visto che a volte ci sono imbarcazioni, in particolare quelle delle Ong, che transitano nelle acque territoriali dei Paesi del Sud del Mediterraneo che non aprono i loro porti”. Sul suo account Twitter dopo la riunione del Consiglio, Darmanin è tornato sulla questione: bisogna, ha scritto, “supervisionare meglio l’azione delle Ong, specificando i diritti e gli obblighi che si applicano alle navi che effettuano operazioni di salvataggio, e istituendo – ha concluso il ministro francese – un quadro di cooperazione tra gli Stati del Mediterraneo e le Ong per un maggiore coordinamento e più prevedibilità”.