Milano, Susan Sarandon al Museo di storia naturale: “La plastica è solo la punta dell’iceberg”

Susan Sarandon

Susan Sarandon

Un grido silenzioso ma potente risuona al Museo di Storia Naturale di Milano, dove il fotografo Fabrizio Ferri ha inaugurato “Breathtaking”, un’installazione fotografica che mette sotto accusa la devastazione provocata dalle plastiche e microplastiche negli oceani. Fra le star immortalate in pose drammatiche, avvolte da sacchetti, palline e rifiuti plastici raccolti lungo le coste italiane e statunitensi, spicca Susan Sarandon, volto simbolo del progetto e voce incisiva della battaglia contro l’inquinamento globale.

L’esperienza è viscerale, letteralmente asfissiante. I visitatori indossano cuffie insonorizzanti, idea della celebre artista Marina Abramovic, per immergersi in un silenzio assordante mentre contemplano i ritratti di undici icone del cinema internazionale: Willem Dafoe, Julianne Moore, Charlotte Gainsbourg, Naomi Watts, Isabella Rossellini (ritratta in due scatti) e la stessa Sarandon, fra gli altri. Ogni fotografia racconta una storia di oppressione e vulnerabilità, con i volti delle star deformati da quella stessa plastica che sta uccidendo il pianeta.

“Non è una denuncia, è una chiamata alle armi”

Fabrizio Ferri, autore dell’installazione, chiarisce subito: “Non si tratta di una semplice denuncia. Denunciare sarebbe come tirarsi fuori dal problema. Con ‘Breathtaking’, invece, non hai vie d’uscita. Entri, ti lasci penetrare da ciò che vedi, e non puoi più uscirne. Perché dentro di te c’è già parte della responsabilità per i disastri che causiamo oggi al mondo. Non basta sapere: serve consapevolezza, serve assumersi la propria responsabilità”.

E la consapevolezza è proprio il tema centrale del progetto. Secondo Ferri, “non stiamo solo uccidendo le foche o i delfini, stiamo uccidendo noi stessi. Questa è la verità che dobbiamo accettare”. Una verità confermata dai dati: entro il 2060, secondo le proiezioni, la produzione annuale di plastica passerà da 500 milioni di tonnellate a 1,2 miliardi. E la plastica è ovunque: nel latte materno, nei pesci, nell’acqua che beviamo e nel cibo che consumiamo. Siamo sommersi, letteralmente.

Susan Sarandon: “Siamo tutti responsabili”

Susan Sarandon, icona indiscussa del cinema e attivista instancabile, non ha esitato a sostenere il progetto fin dal primo momento. Durante l’inaugurazione, ha parlato con passione e franchezza del ruolo umano nella crisi ambientale. “La distruzione degli oceani non riguarda solo i mammiferi marini, ma anche quelli terrestri. La sofferenza per le persone è imminente”, ha dichiarato. Per Sarandon, la soluzione non può prescindere da un cambiamento radicale nelle politiche energetiche e industriali.

“Sono favorevole a ridurre al minimo l’uso della plastica, ma il vero nodo è il fracking e l’estrazione del petrolio da parte dei colossi che continuano a farla franca. Dobbiamo educare le persone affinché possano chiedere ai governi di agire”, ha aggiunto. Ma l’attrice non si ferma qui. Ha puntato il dito anche contro le guerre e i loro effetti devastanti sull’ambiente. “La guerra è uno dei maggiori responsabili dell’inquinamento. L’esplosione del gasdotto North Stream da parte degli Stati Uniti è stato uno dei più grandi atti di ecoterrorismo che abbiamo mai visto. Tutto questo contribuisce enormemente alla distruzione del nostro mondo e del nostro clima”.

Un’arte che fa riflettere

L’installazione di Ferri non vuole essere un mero esercizio estetico. Attraverso le immagini crude e disturbanti di star del calibro di Julianne Moore e Willem Dafoe, l’obiettivo è quello di smuovere le coscienze, di far capire che il problema non riguarda solo gli animali marini, ma ogni singolo essere umano. Susan Sarandon lo ha sintetizzato in poche parole, con la sua consueta schiettezza: “Sono un essere umano, questa è la risposta più semplice. Mi identifico con gli altri esseri umani e quindi non capisco come le persone possano non essere attiviste”.

Breathtaking sarà visitabile fino al 27 aprile, un invito urgente a riflettere sulle conseguenze delle nostre azioni quotidiane. Un’opera che non lascia indifferenti, perché in fondo, come ha ricordato Ferri, “la plastica che vediamo nelle foto è la stessa che portiamo dentro di noi”.