Adesso le profezie catastrofistiche si sprecano. Se al referendum del 23 giugno i britannici scegliessero di abbandonare l’Unione europea, la loro economia subirebbe gravi ricadute. Mezzo punto in meno sul potenziale di crescita, secondo Morgan Stanley, assieme ad un collasso di 10 o perfino 20 punti percentuali sui corsi azionari. Ma soprattutto, nel clima di elevata incertezza che inevitabilmente si innescherà all’avvicinarsi del voto, che degenererebbe in caso di esito negativo, sarebbe la sterlina a patire le maggiori pressioni. E l’antipasto della tempesta valutaria che si potrebbe profilare si è visto nuovamente oggi, in realtà dopo di diverse settimane in cui il british pound è stato sotto tensione a causa dei rischi di Brexit, l’acronimo inglese di uscita britannica dell’unione europea (Britain exit). La sterlina è infatti piombata ai minimi da quasi 7 anni dopo che nel fine settimana il premier David Cameron ha annunciato la data del temuto referendum. Nel pomeriggio ha perso quasi l’1,5 per cento rispetto al dollaro americano, finendo a 1,4058 dollari, il livello più debole per la divisa Gb dal marzo del 2009. Nel frattempo l’euro è balzato fino a 0,7844 sterline, invertendo il rapporto il pound è caduto a 1,2749 euro. Ha pesato non poco lo schierarsi del popolare sindaco di Londra, Boris Johnson, a favore dell’uscita dell’Ue, a dispetto del pressing tentato nelle ultime ore da Cameron. Solo negli ultimi tre mesi la sterlina ha perso circa il 7 per cento sul dollaro.
Lasciare l’Ue “sarebbe un salto nel buio”, ha avvertito Cameron intervenendo oggi in una Camera dei comuni gremita. “Perderemmo l’accesso al mercato unico e la scelta segnerà “una decisione vitale per il futuro del nostro paese, e una decisione definitiva”. Le ipotesi sostenute da alcuni euroscettici Gb, che in caso di voto per l’uscita possa esserci un nuovo negoziato e un eventuale nuovo referendum “è una idea per i passerotti”, ha detto. “Se la gente votasse per lasciare Ue ci sarebbe una sola cosa da fare: il processo di uscita, che prevede 2 anni per negoziare e alla fine se non ci sta accordo l’uscita è automatica, a meno che tutti non concordino di rinviare l’uscita. Non conosco coppie – ha detto Cameron – che iniziano una procedura di divorzio per risposarsi”. “Se vuoi guidare l’Europa devi starci dentro – ha aggiunto il premier – . Se invece vuoi essere guidato dall’Europa, sei libero di fare come la Norvegia”, che non appartiene all’Ue ma ne subisce le normative. Al di là della tradizionale spettacolarità dei dibattiti parlamentari in Gb, le ipotesi sulla gravità delle ricadute economiche dell’uscita dall’Ue dipendono in ampia misura da come l’uscita si verificherebbe. Come detto da Cameron, si aprirebbe una procedura negoziale, mai vista prima, sul come regolare il divorzio. Ma ovviamente Londra avrebbe di fronte delle controparti molto meno ben disposte di quanto lo fossero quelle che ha appena affrontato per trovare una intesa sul come restare nell’Ue.
Tra gli economisti circolano le ipotesi più disparate. C’è anche chi promette una involata della crescita, venuto meno il fardello regolamentare targato Ue, sempre ché si inneschi un nuovo movimento di deregulation che secondo alcuni non avrebbero più margini. Scenario opposto, si potrebbe cadere in una recessione economica che rifletterebbe le improvvise difficoltà a commerciare con un mercato che prima era pienamente aperto, e difficoltà parallele a siglare intese con altre aree economiche. Tornando alla sterlina, un recente studio della banca d’affari Goldman Sachs ipotizzava un possibile collasso di 10 o perfino 20 punti percentuali in caso di Brexit. Solo la prospettiva del referendum, e l’ostilità del sindaco di Londra all’Ue oggi sono bastati a far cadere il pound di circa l’1,5 per cento. C’è quindi da ritenere le previsioni di Goldman perfino prudenziali in caso di un divorzio turbolento. Anche secondo Ubs, in generale per l’economia le conseguenze di una uscita dipenderebbero dalle condizioni: un abbandono “morbido”, in cui Londra dovesse riuscire a mantenere quasi tutto l’accesso al mercato europeo che dispone oggi, avrebbe un impatto mite. Sui cambi della sterlina però la situazione è diversa. “L’incertezza crea anche rischi sull’economia, ad esempio sulle decisioni delle imprese di investire. E sui mercati il barometro più probabile è quello dei cambi valutari – afferma la banca elvetica in una nota di analisi – pensiamo che all’avvicinarsi del voto ci sia ancora molto potenziale di indebolimento per la sterlina”.