Una provincia in agonia, storiche e piccole imprese chiudono battenti. Non c’è un km di autostrada.
C’era una volta la favola del modello Ragusa. La “vulgata” racconta di un sistema economico e di sviluppo fondato non sulla crescita di astruse partite iva, ma poggiato sul rating di piccole e medie imprese sane, commercialmente corrette, capace di reggere l’urto nonostante il grave gap infrastrutturale (unica provincia siciliana a non beneficiare di un solo km autostradale). Dove è finito il modello culturale, turistico, di relazioni chiamato Sud-est, quello capace di resistere e di respingere i rischi di trivellazioni petrolifere da parte degli americani per non alterare la bellezza paesaggistica di un territorio altrimenti imballato? Il risultato di oggi, alla luce dei dati forniti dall’ultimo rapporto Uil sulla cassa integrazione è allarmante, al limite della disperazione sociale.
I settori nella morsa di una crisi economica non troppo improvvisa sono l’industria, l’edilizia, il commercio e come se non bastasse da ultimo anche il turismo, con il colpo durissimo inferto al settore con la simultanea chiusura dei tre villaggi turistici che insistono sulla zona per via di una indagine della magistratura in ordine alla salubrità ambientale. Tre colossi ricettivi sotto inchiesta e chiusi alla fruizione per più di un anno in un assordante silenzio e rotto da una gaffe dell’Assessore regionale al Turismo, Michela Stancheris, che conversando sulle opportunità turistiche del nuovo aeroporto di Comiso, scopriva incredula il misfatto dei villaggi chiusi. Ecco quel che resta del modello Ragusa. Fino a prova contraria.
La cortina fumogena della crisi la provincia iblea l’aveva testata qualche anno addietro con la jacquerie delle banche popolari, capaci nel corso di un trentennio di contribuire alla crescita libera dell’impresa, salvo oggi condizionare negativamente l’economia con la fine del denaro facile. Solo raccolta e niente risorse, né per capitalizzare, né per favorire nuovi investimenti. Con questo quadro la deriva economica è scontata. Un default dell’apparato imprenditoriale e commerciale ragusano – che da piccolo incidente congiunturale – sta via via mutando in grande crisi strutturale.
Ragusa ha chiuso il 2012 al terzo posto nazionale per utilizzo di ammortizzatori sociali. Più di un milione e mezzo di ore autorizzate per interventi di sostegno nel 2013 e il rischio del blocco delle risorse sul fronte della cassa in deroga. Il risultato è il sensibile crollo delle richieste di sussidio e l’aumento drammatico delle domande di disoccupazione. Un dramma occupazionale che sta interessando e interesserà un’enorme platea di lavoratori impiegati in quei settori produttivi dove la cig in deroga è principalmente utilizzata, ovvero artigianato e commercio.
Gli esempi dei drammi occupazionali percorrono tutti settori. Ad inaugurare la striscia negativa lo stop allo stabilimento Ancione spa, leader nella produzione di prodotti bituminosi, da 80 anni un punto di riferimento dell’industria siciliana, chiude i conti con le produzioni e soprattutto con la storia. Stessa sorte per alcuni commissionari del mercato ortofrutticolo di Vittoria, il più grande da Napoli in giù, passando ancora per il settore edile che in provincia di Ragusa ha fatto registrare una tabella occupazionale agghiacciante. Dal 12,5% del 2012, con il crescente numero di imprese in liquidazione, si passa a poco meno del 20% alla fine del 2013. Il puzzle non è teorico, gli effetti negativi sono incalcolabili. La dinamica degli indicatori economici evidenzia oggi la debolezza del territorio ibleo, come la scarsa capacità di intercettare risorse, ad esempio. In questo drammatico scenario, la politica rischia di essere complice della mutata architettura economica di questa terra.