Un utile netto a 1,1 miliardi di euro nel 2019. E’ quanto prevede il piano industriale di Mps approvato dal cda che si basa sul deconsolidamento di 28,5 miliardi di euro di cui 27,6 miliardi di crediti in sofferenza e la ricapitalizzazione per un imposto massimo di 5 miliardi. Un aumento di capitale con esclusione o limitazione del diritto di opzione e sarà assistito da un accordo di pre-underwriting sottoscritto da un consorzio di primarie istituzioni finanziarie. La ricapitalizzazione sarà effettuata anche in via scindibile. Il cda infatti si riserva, al mutare del quadro di riferimento, la facoltà di destinare una tranche dell’aumento in opzione agli azionisti. L’operazione è strutturata in tre componenti. Una al servizio di una potenziale conversione di bond subiordinati prevedendo la possibilità per i titolari di strumenti finanziari di aderire ad un’offerta volontaria di acquisto dei propri strumenti con corrispettivo vincolato alla sottoscrizione di nuove azioni da emettersi nell’ambito dell’aumento. Il prezzo di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione sarà pari a quello che verrà fissato nell’ambito dell’aumento.
Una seconda componente dell’aumento sarà per cassa e riservata ad “eventuali cornestore investors, che si rendessero disponibili ad acquistare una partecipazione significativa nel capitale di Mps. La terza, sempre per cassa, di cui una parte potrà essere destinata agli attuali azionisti della banca. Per l’istituto di credito si tratta di una “operazione, senza precedenti per struttura e dimensione nel mercato italiano, un passaggio fondamentale per Mps che dovrebbe permettere alla banca di potersi nuovamente posizionare, con maggiore forza, tra gli istituti leader del sistema bancario italiano, con una situazione patrimoniale solida, un ridotto profilo di rischio, una qualità del credito significativamente migliorata e un rinnovato potenziale di crescita della redditività a beneficio di tutti gli stakeholders”. Insomma, la banca più antica del mondo tenta di uscire dall’impasse nella quale si è trovata negli ultimi anni. Un salvataggio, in sostanza, basato su due pilastri: uno finanziario, come già detto e l’altro è relativo al personale. Il piano, infatti, prevede 2900 esuberi e la chiusura di circa 500 filiali in tutta Italia. Il personale passerà dai 25.200 dipendenti totali di oggi ai 22.600 del 2019. Delle 2.900 uscite però 450 deriveranno dal turnover naturale e 2.450 dall’attivazione del fondo di solidarietà. Le nuove assunzioni saranno circa 300 in arco piano. Tradotto in cifre, ci sarà una riduzione del costo del lavoro del 9% a 1,5 miliardi di euro nel 2019. “Sarà ridotto il numero delle aree commerciali e delle filiali”, ha spiegato l’ad Morelli, che, passeranno da 2mila a 1.500. La razionalizzazione del network con la chiusura di circa 500 filiali comporterà un calo del 4% delle spese amministrative a 710 milioni nel 2019.