Morto il dissidente Liu Xiaobo. Comitato Nobel: Cina responsabile

13 luglio 2017

Il dissidente cinese Liu Xiaobo è morto nell’ospedale di Shenyang dove era ricoverato da giugno per cancro al fegato. Ancora in mattinata la Cina aveva continuato a resistere alle pressioni della comunità internazionale per consentire a Liu Xiaobo, 61 anni, premio Nobel per la Pace malato terminale di cancro, di essere curato all’estero. Stati Uniti e Germania avevano espresso preoccupazione per le sorti del 61enne scrittore, che era in custodia piantonato in ospedale nel nordest della Cina. Il portavoce del ministero cinese, Geng Shuang, aveva ribadito la linea classica del governo: “Speriamo che i Paesi interessati possano rispettare la sovranità giudiziaria della Cina e astenersi dall’interferire nelle questioni interne della Cina sotto il pretesto di un caso individuale”. Per il comitato del Premio Nobel, la Cina è responsabile della morte “prematura” di Liu Xiaobo. Dopo aver definito “inquietante” la mancata autorizzazione di Pechino al trasferimento all’estero del dissidente, dove “avrebbe potuto ricevere cure mediche adeguate prima di diventare malato terminale”, il presidente del Comitato, Berit Reiss-Andersen, ha affermato in una nota che “il governo cinese ha una responsabilità pesante per la sua morte prematura”. Il ministro della Giustizia tedesco, Heiko Maas, ha definito Liu Xiaobo, “un eroe nella lotta per la democrazia”. “La sua resistenza non violenta ne ha fatto un eroe nella lotta per la democrazia e i diritti umani”, ha scritto Maas su Twitter. Anche la Germania aveva offerto la propria disponibilità ad accogliere Liu, malato di cancro al fegato, che aveva chiesto di poter essere curato all’estero.

CHI ERA Nato il 28 dicembre 1955, Liu Xiaobo era un critico letterario e uno scrittore, attivista per la democrazia e per i diritti umani. Tra il 2003 e il 2007 è stato presidente dell’Independent Chinese Pen Center e dal 1990 presidente della rivista Minzhu Zhongguo (Cina Democratica). Il suo attivismo per la democrazia nasce con le proteste a Piazza Tiananmen del 1989. Da allora è stato imprigionato per motivi politici in quattro occasioni: 1989-1990, 1995-1996, 1996-1999 e nel 2009. Dopo aver firmato, con altri dissidenti, il documento intitolato Carta 08 (ispirato a Carta 77 della ex Cecoslovacchia), in cui venivano chieste maggiori libertà e il rispetto dei diritti umani, Liu viene arrestato nel giugno del 2009 con l’accusa di “fomentare la sovversione”. Nel dicembre dello stesso anno viene condannato a 11 anni di carcere e imprigionato a Jinzhou, nella provincia Liaoning. Nel 2010 viene insignito del premio Nobel per la Pace per “la sua lunga lotta non violenta per i diritti umani fondamentali in Cina”, diventando il primo cinese a ricevere il premio vivendo in Cina. Liu Xiaobo è la terza persona a ricevere il Nobel durante la prigionia, dopo Carl von Ossietzky, in Germania, nel 1935, e Aung San Suu Kyi, nel Myanmar, nel 1991, e la seconda persona, dopo Ossietzky, a cui è stato negato il diritto di mandare un proprio rappresentante a ricevere il premio. Se dovesse morire in Cina, Liu Xiaobo sarebbe il primo premio Nobel per la pace a morire privato della libertà dopo il giornalista tedesco von Ossietzky, morto nel 1938 in ospedale mentre era ancora sotto custodia dei nazisti.

IL TESTAMENTO “Nessuna forza può fermare la ricerca dell’uomo della libertà”: questo aveva scritto Liu Xiaobo poco prima di essere condannato nel 2009 per “sovversione” e che oggi può essere letto come il testameno del Nobel cinese, morto dopo otto anni di detenzione. Imprigionato, Liu Xiaobo non potè recarsi a Oslo per ritirare il premio, assegnatogli nel 2010, e la cerimonia si svolse con una sedia vuota. Ma venne letto un suo testo, datato dicembre 2009, uno dei suoi ultimi scritti ad essere stato pubblicato: “Credo fermamente che l’ascesa politica della Cina non si fermerà e, pieno di ottimismo, attendo con impazienza l’avvento di una Cina libera”. “La Cina finirà per diventare uno Stato di diritto, dove regneranno i diritti umani”, aveva aggiunto nel testo di quattro pagine. Quindi, rivolgendosi alla moglie, la poetessa Liu Xia, agli arresti domiciliari dal 2010, disse di non avere “rimpianti per le scelte” fatte, aspettando il “futuro con ottimismo”. “Attendo con impazienza il giorno in cui il mio Paese sarà una terra di libertà di espressione (…) in cui ogni cittadino possa esprimere le proprie opinioni politiche senza paura e in cui nessuno venga perseguitato per aver espresso opinioni divergenti”, aveva aggiunto. “Spero di essere l’ultima vittima dell’infinita inquisizione letteraria cinese e che nessuno venga più processato per le sue parole”, aveva auspicato l’ex professore di letteratura i cui libri sono vietati in Cina.

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