E’ morto Zygmunt Bauman, intellettuale polacco e celebre per i suoi lavori sociologici sulla societa’ liquida. Ne danno notizia i media polacchi, tra cui Gazeta Wyborcza. Bauman aveva 92 anni. Nato a Poznan, in Polonia, nel 1925, Bauman era di famiglia ebraica. Vive a a Leeds, in Gran Bretagna, dove insegnava, ed e’ stato probabilmente il piu’ acuto analista dei riflessi sulle relazioni sociali determinati dalla globalizzazione, e in particolare da quella accelerazione indotta dalla fine delle ideologie. Chi lo ha conosciuto e con lui ha lavorato, come lo scrittore e giornalista Wlodek, Goldkorn, anche lui polacco, sottolinea la sua “curiosita’ verso il mondo” e i tratti fondamentali di un carattere che ha reso bauman uno dei punti di riferimento per chi voglia decifrare il presente contemporaneo e al tepo stesso migliorarlo: era, racconta Goldkorn, “un uomo di estrema gentilezza, coraggioso, eterodosso ed eclettico. Era molto curioso dei giovani e loro lo erano di lui”.
“Leggeva tutto e stava molto in Internet – prosegue – ma era critico verso i social media poiche’, a suo dire, non creano comunita’”. Zygmunt Bauman e’ stato uno degli ultimi grandi intellettuali del ventesimo secolo, la cui biografia in gran parte coincide con il ‘Secolo breve’, che secondo la definizione ha un inizio con la Prima Guerra Mondiale (1914) e una fine individuata nel crollo dell’Unione Sovietica, ma lo supera inventando il concetto di “modernita’ liquida”, un contesto in cui le relazioni sono esclusivamente improntate al consumo. Il consumo, nella teoria di Bauman, e’ l’unico punto di relazione tra gli individui, che scontano un processo di “liquefazione” nei legami reciproci e in tutti gli ambiti, dal lavoro all’amore (“Amore liquido” e’ il titolo di uno dei suoi saggi piu’ fortunati). “Una societa’ puo’ essere definita ‘liquido-moderna’ se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure.
La vita liquida, come la societa’ liquida, non e’ in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo”, scriveva in ‘Vita liquida’ (Laterza, 2006)il sociologo, che a Mantova, nel corso del’edizione 2003 del Festival Letteratura, aveva tracciato un parallelo con il passato, il proprio passato: “Noi parliamo sempre meno di quella che era la miglior metafora per pensare alla societa’ quando ero giovane: la struttura. La struttura suggerisce qualcosa di solido, di rigido, qualcosa che limita. Devi combattere con forza per romperla, per uscirne. La struttura ti rende immobile, e’ un’immagine rigida in cui resti chiuso. La rete e’ qualcosa di diverso. La rete e’ la combinazione di due processi, la connessione e la disconnessione: e’ questa la differenza tra rete e struttura. Nella struttura entri e ci resti e cosi’ finisce la storia. Nella rete hai una facilita’ relativa a collegarti a luoghi distanti, ad altri punti della rete, ma allo stesso tempo, ed e’ la cosa piu’ importante, hai la facilita’ di disconnetterti, puoi spegnere”. E’ su fragilita’ e solitudine, rese quotidiane dal precariato nel lavoro – ragionava da tempo e prima di altri Bauman – che la paura gioca la propria partita. I cittadini delle megalopoli – spiegava – sono preda di una paura “liquida” che si muove “liberamente” e “sembra venire da tutti gli angoli”. In un mondo in continuo mutamento, esistono la paura di “non trovare piu’ acquirenti per quel tipo di competenze acquisite con un duro lavoro” o quella di “perdere la posizione sociale, di essere buttati fuori, come vediamo nei reality” che propongono la spettacolarizzazione attraverso l’aspettativa: “chi sara’ escluso la prossima volta?”.