Economia

Mps cambia pelle e diventa di Stato. Una seconda vita

Il Monte dei Paschi di Siena muta pelle. L’acronimo è sempre lo stesso Mps, ma si può anche leggere Monte dei Paschi di Stato. Cambia solo il socio forte. Nel 1999, dopo il collocamento in Borsa del 22% del capitale, il socio di riferimento era la Fondazione Mps con una quota del 78%, poi scemata nel tempo, insieme a 5 miliardi di euro, allo 0,10%. Questa volta il socio forte sarà lo Stato, la ricapitalizzazione complessiva della banca, pari a 8,1 miliardi, porterà il Tesoro fino al 70% del capitale della banca. Il resto del Monte in mano agli obbligazionisti subordinati, 4,3 miliardi i bond convertiti in azioni, le briciole, se ne resteranno, agli attuali azionisti che verranno sostanzialmente diluiti a ridosso di zero. I circa 40mila obbligazionisti subordinati retail potranno, in caso di misselling, aderire alla transazione proposta dalla Banca, scambiando le nuove azioni Mps rivenienti dalla conversione dei bond subordinati con carta, non subordinata, emessa dalla banca con la stessa scadenza (maggio 2018) del bond precedentemente convertito. Si tratta del bond 2008-2018, per circa 1,5 miliardi in mano al retail, una obbligazione subordinata di tipo Upper Tier 2 espressamente pensata, autorizzata e commercializzata per la clientela retail. Nel prospetto era espressamente indicato il grado di subordinazione, massimo nell’ambito dei bond subordinati di tipo Tier 2, mentre il profilo di rischio era ritenuto non comparabile in quanto, a quei tempi, nessuno aveva emesso un bond di tale rischiosità per i risparmiatori retail. Il Piano di ristrutturazione 2017-2021 è costruito per remunerare il costo del capitale, una questione da tempo irrisolta e che tiene lontano gli investitori. Il Roe atteso a fine piano pari al 10,7% (in area 1,2 miliardi l’utile netto previsto al 2021) mira a questo obiettivo, senza il quale diventa difficile trovare investitori pronti a sostituire lo Stato che spera ovviamente di uscire dall’operazione in nero, non certo in rosso.

L’adieu del Tesoro è previsto entro il 2021, dunque al massimo a fine Piano, una scadenza tecnica che però dipende molto dall’umore dei mercati e dalla performance della banca. L’accento sulla redditività si riflette negli esuberi (5.500 netti), nella riduzione delle filiali da 2mila a 1.400 e nell’uscita di 28,6 miliardi di sofferenze lorde valutate a circa il 21%. A fine piano, Mps stima sul portafoglio prestiti, circa 12,8 miliardi di crediti deteriorati lordi rispetto ai 45,8 miliardi di fine 2016. Il livello di patrimonio di primaria qualità (Cet1 superiore al 14% nel 2021), dovrà comunque viaggiare a quota 9,44% da gennaio 2018, Bce docet. Si tratta in ogni caso di 130 punti base in meno del livello fissato originariamente dalla Bce per il 2017. Segno che in prospettiva, con l’uscita delle sofferenze, c’è la percezione di una banca con un modello di business più sostenibile e meno rischioso. “Siamo rimasti vivi” ha detto oggi l’Ad Marco Morelli, nel corso della conference call con gli analisti sul Piano di ristrutturazione, “recupereremo un ruolo importante nel panorama bancario nazionale”. Nel 2013, quando con lo scandalo dei derivati Alexandria e Santorini arrivò sulla banca il primo danno reputazionale, si parlava di quasi sei milioni di clienti. Oggi Morelli ha parlato di 4 milioni e mezzo di clienti. Nel primo trimestre dell’anno la banca ha comunque recuperato circa 5 miliardi di raccolta diretta (depositi), una buona notizia. Il numero dei conti correnti viaggiava a metà giugno sotto quota 4 milioni, era ben sopra di questo livello un anno fa, ma poi è accaduto di tutto. Nel corso delle prime settimane di giugno, il numero dei nuovi conti aperti ha superato quelli estinti. Un altro segnale incoraggiante, ma c’è da camminare.

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