Nato, debutto di Hegseth, tensioni tra alleati a Bruxelles

Il neo segretario di Stato alla Difesa Usa insiste su aumento spesa militare, attaccato su colloquio Trump-Putin

Pete Hegseth

Pete Hegseth

Non è stata una discussione facile, quella della riunione ministeriale Difesa della Nato che si è svolta nel quartier generale dell’Alleanza a Bruxelles. Da una parte, il nuovo “azionista di maggioranza” americano della Nato, il neo segretario di Stato alla Difesa dell’Amministrazione Trump, Pete Hegset, è partito all’attacco di fronte agli alleati con un mandato chiarissimo: il “dividendo della pace deve finire” (sono le sue parole), gli Stati Uniti non possono continuare a essere, in gran parte a proprie spese, i garanti della pace dei paesi europei, che devono spendere di più per la propria difesa.

Non più 2% del Pil, neanche il 3% che il segretario generale della Nato, Mark Rutte, sta cercando di indicare come soglia di compromesso, “anche il 4% è troppo poco, dovrebbe essere piuttosto attorno al 5%”, ha detto il capo del Pentagono. Improponibile per la maggior parte degli europei, alcuni dei quali (Italia inclusa) non sono riusciti ancora ad arrivare neanche all’obiettivo precedente, il 2%.

“Siamo molto incoraggiati – ha detto Hegset nella conferenza stampa finale – da ciò che hanno detto, a porte chiuse, molti dei nostri alleati, riconoscendo questa realtà. ‘Rendere di nuovo grande la Nato’, è ciò che il Presidente Trump si era prefissato di fare già nel 2017. La stampa aveva detto che il Presidente Trump stava abbandonando la Nato, che stavamo voltando le spalle ai nostri alleati.

Questo è ciò si leggeva nei titoli nel 2017 e nel 2018. Ma cosa è successo realmente? Quella dura discussione ha creato ancora più investimenti, al punto che ora quasi tutti i paesi della Nato stanno raggiungendo l’obiettivo del 2 per cento, che era stato definito eclatante quando lo aveva detto per la prima volta. Ora i paesi europei stanno intensificando gli sforzi, e il presidente Trump continua a suonare il campanello d’allarme per dire che sono necessari ancora più investimenti considerando la situazione in cui siamo”.

“Dovete spendere di più – ha detto il capo del Pentagono rivolto agli europei – per la difesa del vostro paese in questo continente. Questo cambiamento deve avvenire. Il dividendo della pace deve finire”. E a questo punto Hegset ha introdotto un’altra motivazione di questa richiesta: in sostanza, gli europei devono spendere di più in Europa, dove il nemico è la Russia, perché gli americani non possono farlo, in quanto hanno bisogno di spendere di più nella regione dell’Indo-Pacifico. Un’area geopolitica in cui c’è un “competitor” ormai fortissimo, seconda potenza mondiale, la Cina, che non è ancora un nemico, ma che potrebbe diventarlo presto, se non sarà dissuaso dal farlo. Per questo, c’è bisogno di un sistema di deterrenza basato sugli alleati della regione sostenuti dagli Stati Uniti.

“Ci sono autocrati – ha ricordato Hegset – con ambizioni in tutto il mondo, dalla Russia ai comunisti cinesi”. Per gli europei “investire nella difesa nel Continente (europeo, ndr) ha senso. E ha anche senso, comparativamente e geograficamente, per gli Stati Uniti, insieme agli alleati nel Pacifico, come Giappone, Corea del Sud, Filippine, Australia e altri, investire negli alleati, nei partner e nelle capacità nel Pacifico per una proiezione del potere al servizio della deterrenza. Quell’effetto deterrente nel Pacifico può essere guidato solo dagli Stati Uniti”.

Dall’altra parte, il capo del Pentagono si è trovato a giocare -sebbene in modo altrettanto aggressivo – in difesa, attaccato da molti degli alleati per l’incredibile comportamento del suo capo, Donald Trump, nella telefonata con Vladimir Putin, in cui ha dato quasi per scontata, prima ancora di cominciare i negoziati di pace e sena averne parlato prima con Kiev e con l’Ue, la perdita dei territori ucraini occupati dalla Russia, la rinuncia dell’Ucraina all’adesione alla Nato, la presenza di truppe di peacekeeping solo europee e non americane per garantire la sicurezza dopo il cessate il fuoco (se ci si arriverà).

Il capo del Pentagono è stato tempestato dalle critiche dei baltici, della Svezia, della Germania, della Francia e dell’Ue (se si rimane a quello che è stato riferito chiaramente negli incontri stampa), per il fatto che Trump si è lanciato troppo avanti nelle concessioni a Putin, senza consultarsi con l’Ucraina e con gli alleati europei e anzi dando l’impressione di volerli mettere davanti al fatto compiuto, senza d’altra parte ottenere da Putin nient’altro che la promessa del cessate il fuoco. Mark Rutte ha cercato di mediare, come è suo compito; in particolare, durante la sua conferenza stampa finale, ha ricordato che nell’ultimo suo summit la Nato “si è impegnata per la futura adesione dell’Ucraina, ma non è mai stato concordato che una volta iniziati i colloqui di pace, sarebbero finiti con certezza con l’adesione alla Nato” di Kiev.

Hegseth ha difeso a spada tratta Trump, come il più grande negoziatore del Pianeta, ha affermato che Putin lo teme e lo rispetta, perché capisce solo il linguaggio della forza; e che le azioni militari espansive del presidente russo in Ucraina, cominciate nel 2014 con l’occupazione della Crimea, si sono fermate durante i quattro anni della prima presidenza Trump, e sono riprese quando ha lasciato la Casa Bianca. Ora il presidente è tornato, e, ha fatto capire Hegseth, è questo il momento per far ritornare la pace in Ucraina.