Ncd, 17 i senatori pronti al no a riforme. Il partito non c’è
LA RESA DEI CONTI Quagliariello, Lupi, Schifani non sono più in sintonia con Alfano di Francesco Del Vecchio Berlingieri
di Francesco Del Vecchio Berlingieri
Continua la crisi di Ncd, o meglio continua l’incapacità del partito di Angelino Alfano – par altro cosa che accade sin dalla sua nascita – di proporsi come punto di riferimento di quel mondo di centrodestra moderato, diverso dall’impostazione berlusconiana e comunque lontano dagli eccessi leghisti di Matteo Salvini. Il segno dell’ulteriore difficoltà del Nuovo centrodestra (già stressato dalle spaccature sull’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale) arriva dalla discussione sulle riforme e dal prossimo voto in Senato. A quanto si apprende sarebbero 17 i senatori Ncd, su un totale di 35 del gruppo Ap – a cominciare da Gaetano Quagliariello seguito da molti parlamentari calabresi – pronti a votare ‘no’ alle riforme. Una decisione che metterebbe in grave difficoltà l’esecutivo di Matteo Renzi nell’approvazione di quel provvedimento che il premier stesso considera essenziale per la tenuta del governo. Ed in mancanza del quale, ha lasciato intendere più volte, sarebbe pronto a rimettere il suo mandato nelle mani del presidente della Repubblica.
La fibrillazione all’interno di Ncd – l’Udc, l’alleato nel gruppo di Ap sembra avere meno problemi interni anche se le critiche alle riforme costituzionali e alla legge elettorale non mancano – si declina in vari modi. Tutti però convergenti nella contestazione (di fatto) della linea seguita da Alfano. Il coordinatore Quagliariello lo ha detto chiaramente nei giorni scorsi, senza una disponibilità del governo ad ascoltare le istanze di cambiamento all’impianto delle riforme che arrivano da Ncd ci saranno conseguenze sulla tenuta dell’esecutivo Renzi. Netta la posizione del capogruppo alla Camera Maurizio Lupi, che vede il partito inserito nell’orbita del centrodestra anche se sostiene che le riforme vadano votate. Singolare la posizione del capogruppo al Senato Renato Schifani, che oggi ha detto che una cosa sono le riforme altro la legge elettorale. Una sorta di paravento, sembra però di capire, per far credere forse che Ncd voterà le riforme ma che così non sarà. Anche perché Schifani è alle prese in Sicilia con le prossime elezioni regionali e non vede certo di buon occhio un possibile accordo Ncd-Pd. Senza dimenticare l’abbandono del partito il mese scorso da parte di Nunzia De Girolamo, tornata in Forza Italia. Di fronte a tutto ciò il segretario Alfano ripete che le alleanze elettorali, le intese su determinati provvedimenti avverranno in base ai programmi. Come dire alleanze a geometria variabile. E questo è fonte di irritazione nel Nuovo centrodestra.
Un partito, viene ripetuto dall’interno di Ncd, che non c’è, che non c’è mai stato e che, pur avendo come leader un ministro di peso come quello dell’Interno, non è riuscito ad intestarsi le cose fatte dal governo, dalle riforme alle iniziative sulla immigrazione. Sconta e’ vero il protagonismo di Renzi ma alla fine quello che manca è una struttura solida di partito. Per una formazione che si professa di centrodestra è difficile accettare che per esempio in Campania per le elezioni sia stato messo già in piedi l’accordo con il Pd. Le varie iniziative, le dichiarazioni di esponenti di primo piano del partito – in evidente o sotterraneo contrasto con la linea di Alfano – non sembrano però prefigurare la nascita di una nuova formazione. Paiono piuttosto azioni di cani sciolti, di singole persone non organizzate, dettate da una sorta di istinto di sopravvivenza, dalla volontà di essere pronti a riposizionarsi, tornando a Forza Italia, guardando a Scelta civica o addirittura dirigendosi verso la Lega Nord. Insomma, in un partito che sembra navigare a vista molti cominciano a pensare al proprio interesse politico.