Greenpeace le ha definite come gli animali più cool dell’Artico e sicuramente un motivo c’è. Ma se le tribù indigene vogliono sopravvivere, devono continuare ad allevarle e anche a ucciderle. Le renne con la loro incredibile resistenza al freddo, la loro velocità da corridore olimpico e la loro forza rappresentano a queste latitudini una costante imprescindibile. Ci troviamo a Dudinka, città russa chiusa agli stranieri di oltre 22 mila abitanti sul fiume Yenisei, quasi all’estuario sul mare di Kara. Ci accoglie in casa Zoya Bolena, esponente delle tribù indigene che ancora oggi convivono con lo sviluppo e le fabbriche locali. Come ci spiega mentre ci prepara il tè, esistono numerose tribù: Evenchi Nenci, Nganaseni, Enzi e Dolgani. Ancora conservano le antiche tradizioni, come i riti di passaggio per i ragazzi che con la prima caccia entrano nella vita adulta. Ma è soprattutto la renna, un magnifico animale, a legare tutti i popoli dell’Artico. “Tutto dipende ed è legato a lei. I nostri vestiti, dalla testa ai piedi, utilizzano la sua pelle, le nostre case sono ricoperte con il suo manto” spiega Zoya Bolena, indigena artica di Dudinka. “La renna è inoltre il nostro mezzo di trasporto e il nostro sostentamento. È persino il nostro stato d’animo, perché senza di lei non andiamo da nessuna parte. Cosa possiamo fare senza le renne? Andare a vivere in città. Ma se vogliamo restare nella tundra, abbiamo bisogno di loro”.