Uno degli uomini più vicini a Matteo Renzi la riassume così: “Me lo aspettavo per settembre, hanno anticipato i tempi: vogliono uccidere Matteo, politicamente s’intende…”. Loro, i presunti killer, sono i tanti big del partito che in queste ore hanno preso la parola per affondare i colpi contro il segretario: ha iniziato Walter Veltroni con un’intervista a Repubblica, e fin lì Renzi aveva deciso di fare buon viso a cattivo gioco, ma poi è arrivato il missile di Romano Prodi, che ha minacciato di andarsene lontano dal Pd con la sua metaforica “tenda”. Quindi, è stata la volta di Dario Franceschini, “i numeri dicono che nel Pd qualcosa non funziona”. Ed è stato Andrea Orlando a dire chiaro e tondo qual è il punto: Renzi faccia il segretario Pd, ma non può fare il candidato premier. Un assedio al quale il segretario, per ora, reagisce alla sua maniera: bollando i critici come nostalgici del “passato” e rivendicando i “quasi due milioni di partecipanti alle primarie” che lo hanno rieletto alla guida del Pd neanche due mesi fa. L’intervento di Veltroni non aveva certo fatto piacere, ma Renzi aveva deciso di accoglierlo con fair play: “Ha ragione Veltroni – aveva detto durante la rassegna sul sito Pd – bisogna presentarsi non contro, ma per. È un tema fondamentale”.
Le parole di Prodi, però, hanno fatto capire che la questione era molto più complicata. Il Professore scrive una nota per bombardare Renzi: “Leggo che il segretario del Partito democratico mi invita a spostare un po’ più lontano la tenda. Lo farò senza difficoltà: la mia tenda è molto leggera. Intanto l’ho messa nello zaino”. In realtà, non ci sono frasi di Renzi di questo tipo. L’irritazione è per alcuni retroscena apparsi sui giornali nei quali il segretario Pd critica chi, come Prodi, Pisapia e Orlando, dice che la soluzione dei problemi è innanzitutto nel ritorno ad una coalizione. Ma subito dopo arriva anche il tweet di Franceschini, quello ritenuto più pericoloso dai renziani, perché è la prima volta che il ministro dei Beni culturali esce allo scoperto in questo modo: “Bastano questi numeri per capire che qualcosa non ha funzionato? Il Pd è nato per unire il campo del centrosinistra non per dividerlo”. Il primo a reagire, a brutto muso, è Ernesto Carbone, che appunto sposa la tesi della manovra contro Renzi: “Dario Franceschini come sempre fiuta il vento. Speriamo per lui che il suo naso sia quello di una volta”.
Un altro dei renziani aggiunge: “Dario ha visto partire un treno e ha deciso di salirci sopra… Peraltro, usa pure i dati meno adatti: mette i grafici di quattro città, ma in due – Verona e l’Aquila – si vede che il Pd prende più voti che nel 2012”. La linea, per ora, è rispondere colpo su colpo. “Matteo è stato rieletto neanche due mesi fa, non proprio con un voto di scarto…”, diceva ancora il renziano. “Parleremo in direzione”. Poi, in serata, arriva la newsletter dello stesso Renzi, come al solito più netta di quanto non viene riferito off the record dai suoi: “Se qualcuno vuole riportare le lancette al passato quando il centrosinistra era la casa delle correnti e dei leader tutti contro tutti, noi non ci siamo”. E ancora: “Non intendo alimentare anche io questo dibattito autoreferenziale pieno di ‘Ci vuole la coalizione, ci vuole l’Unione Bis, ci vuole il caminetto tra correnti. Perdonatemi, ma non è il mio campo di gioco. Noi abbiamo vinto le primarie con quasi due milioni di partecipanti chiedendo di discutere di lavoro, di periferie, di tasse… Il voto nazionale non è il voto amministrativo: gli italiani ci sceglieranno se avremo un progetto vincente per l’Italia, non se accoglieremo un partitino in più o in meno in coalizione o se presenteremo un emendamento alla legge elettorale”.