L’inferno di Baghdad, Karrada tra le macerie dopo nuovo massacro dell’Isis

VIDEO REPORTAGE dal quartiere sciita dove regna orrore e disperazione, la zona è nel mirino dello Stato islamico e in questi giorni più che mai di Adib Fateh Ali

baghdad

di Adib Fateh Ali

La partita persa dall’Italia contro la Germania agli europei di calcio è appena finita quando un sordo boato squarcia il silenzio della notte a Baghdad. E’ chiaro fin dall’inizio e i volti del personale dell’Hotel al Mansour lo confermano, attoniti: è scoppiata una bomba, potentissima. Infatti arriva veloce la conferma via Twitter: “Un kamikaze ha fatto esplodere un automezzo carico di esplosivo davanti a un centro commerciale affollato a Karrada”, quartiere della capitale distante circa un chilometro dal nostro albergo. E’ una zona dove vivono gli sciiti, nel mirino dello Stato islamico, in questi giorni più che mai. Dopo la riconquista della città di Fallujah da parte delle forze governative, il Califfo vuole dimostrare che è sempre in grado di agire, che il governo a Baghdad non controlla la situazione. Chiamiamo Seif, l’autista che ci accompagna in giro per la capitale irachena, gli chiediamo di portarci sul luogo dove è avvenuta l’esplosione.

Lui pensa che le forze di sicurezza ci rispediranno indietro al primo dei numerosissimi posti di blocco, ma si tenta di andare. Arrivati a piazza Firdous, dove una volta sorgeva la grande statua di Saddam Hussein, veniamo investiti dal frastuono delle sirene di ambulanze. Centro metri più in là, la strada è effettivamente bloccata da mezzi militari. Sullo sfondo, il bagliore delle fiamme che si alzano in cielo. Decidiamo di proseguire a piedi, percorrendo strade secondarie. Enormi lingue di fuoco, il fumo indicano il percorso e ci si accorge di essere arrivati vicini al luogo dell’incidente quando l’odore di bruciato diventa fortissimo e il fumo si fa più fitto metro dopo metro. Svoltiamo a un incrocio e la scena e’ da apocalisse. Si vede poco, ma si sente urlare, grida lanciate da sagome umane, chi a terra chi in disperata ricerca di parenti ed amici, chi in fuga, nel caos totale.

“La Ilaha illa Allah” (“Non vi e’ Dio che Allah”), grida un uomo che scuote disperatamente la testa. Un giovane intossicato dal fumo è sdraiato a terra, qualcuno cerca di soccorrerlo. Un uomo seduto su quello che resta del marciapiede impreca contro il suo destino. Siamo controvento, il fumo si fa insopportabile. Ma venti metri più in là la scena è davvero catastrofica: palazzi sventrati, persone intrappolate che chiedono aiuto dai balconi mentre le fiamme escono dalle finestre; pochi vigili del fuoco, mal equipaggiati, non sanno a chi dare la precedenza nei soccorsi.
A terra la scena è di totale devastazione: brandelli di corpi umani sul marciapiede calpestati da una folla disperata di uomini e donne in cerca dei loro cari. Dei negozi rimane solo cenere e fumo. Salvi solo i pilastri. Lo tsunami provocato dall’esplosione di un camion-frigo parcheggiato dall’attentatore davanti al Centro commerciale “Hadi Center” ha annientato oltre 120 vite umane, si saprà durante la giornata, in grandissima parte giovani. Ha distrutto un centinaio di negozi ed altrettanti appartamenti in un quartiere colpito per la terza volta con analoghe modalità negli ultimi tre anni e sempre nei giorni di festa del mese del digiuno del Ramadan.

E arriva, puntuale, la rivendicazione dello Stato Islamico: “Abbiamo raccolto (la testa) degli sciiti”, si legge nel comunicato diffuso sui social media da Amaq, agenzia stampa del Califfato. Costretti dallo sforzo armato internazionale ad arretrare sul terreno, i jihadisti puntano a seminare il terrore, incuranti del Ramadan. Vogliono dar prova di potere colpire nonostante le battaglie perse sul campo come a Fallujah, città riconquistata dalle forze governative la settimana scorsa. Vogliono approfittare, aggravare la crisi politica, che negli ultimi mesi ha visto una vera e propria sollevazione ispirata dal leader sciita Moqtada al Sadr e sfociata nell’invasione della protettissima ‘zona verde’ e in una breve occupazione del parlamento. La gente è stanca, impaurita, scoraggiata. “Daesh (gli iracheni usano l’acronimo in arabo per indicare l’Isis) è il governo. Daesh sono i politici che siedono in Parlamento. Daesh è in questo nostro disgraziato Paese perchè non abbiamo un governo degno di questo nome. Daesh è il frutto delle congiure tra i politici e siamo noi a pagare”, afferma una donna vestita in nero che assieme ad altre è seduta per terra in attesa di conoscere le sorti di due suoi figli che erano dentro il centro commerciale.

“Da quando ci sono i politici c’è solo sangue, distruzione e dolore infinito per noi. Era meglio quando c’era Saddam Hussein. Lui faceva paura e nessuno osava ribellarsi, ma oggi al governo c’è gentaglia che pensa solo ad arricchirsi”, dice la donna, “ma voi non potete capire ne risolvere il nostro dramma” La sua ira è condivisa dalle altre donne del gruppo. Proprio la reazione in cui sperano gli uomini del Califfato. Che “con questi attentati puntano a convincere gli iracheni ed il mondo che gli sciiti non sono in grado di governare e provocare una loro reazione violenta contro i sunniti per costringere questi ultimi che l’unica loro salvezza e’ l’Isis”, come spiegato uno dei tanti uomini presenti sul luogo della tragedia, che qui a Baghdad si teme non sia affatto l’ultima.