di Enzo Marino
La guerra civile yemenita si è inasprita circa un anno fa, quando una coalizione guidata dall’Arabia Saudita è intervenuta con attacchi aerei, un blocco navale e truppe di terra per fare fronte ai ribelli Houthi che cercavano d’impadronirsi di tutto il paese. Gli houthi, una tribù di sciiti zaiditi ora alleati con il loro vecchio nemico, l’ex presidente Ali Abdullah Salah, sono visti da Riyadh come uno strumento controllato dall’Iran, accusa respinta sia dai ribelli sia da Teheran. Gli Stati Uniti – riportano alcuni documenti diffusi – sono parti del conflitto armato in Yemen. Dall’Air Forse, hanno fato sapere che l’esercito Usa ha schierato personale dedicato alla progettazione e alle operazioni congiunte delle cellule saudite per il “coordinamento delle attività”. In particolare le forze armate statunitensi partecipano ad operazioni militari specifiche, quali la fornitura di consigli sulla scelta degli obiettivi e sul rifornimento in volo, durante i bombardamenti.
Dunque – si afferma ancora nella nota diffusa – in quanto parte del conflitto, gli Stati Uniti sono in sé obbligati ad indagare sui presunti attacchi illeciti cui ha preso parte. Non solo. Nel luglio 2015, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha approvato una serie di vendite di armi in Arabia Saudita, tra cui un contratto di 5.4 miliardi di dollari per 600 missili Patriot e un accordo di 500 milioni di dollari per più di un milione di munizioni di vario genere, bombe a mano ed altri oggetti bellici, per l’esercito saudita. Anche il governo britannico, tra il gennaio e il settembre 2015, secondo la Campagna contro il commercio di armi con sede a Londra, ha approvato 2,8 miliardi di sterline nelle vendite militari in Arabia Saudita. E allora, il Regno Unito era già pronto a negoziare un accordo un altro miliardo di armi con gli Emirati Arabi Uniti. Insomma, una guerra che dura da anni, quella in corso nello Yemen e che non finisce perché, soprattutto, è un affare troppo grande per lo smercio di armi.