Il primo indizio che qualcosa era andato storto gli uomini della Cia lo ebbero quando videro estrarre sei corpi, e non quattro, dalle macerie del covo di al Qaida colpito in Pakistan lo scorso gennaio. E’ quanto scrive oggi il New York Times, ricostruendo la vicenda dell’uccisione di Warren Weinstein e Giovanni Lo Porto. Per settimane, infatti, gli agenti della Cia avevano controllato ogni mossa dei quattro uomini che entravano e uscivano dal compound della Shawal Valley, al confine tra Pakistan e Afghanistan, e il 15 gennaio, dopo il raid, credevano di aver ucciso quattro terroristi di al Qaida. “Ci furono due sepolture in più rispetto a quelle previste e non sapevamo chi fossero”, ha raccontato un funzionario Usa. Poi, quando la Cia ha cominciato a fare pressioni sui propri contatti sul terreno per avere informazioni e ha passato al setaccio le intercettazioni, gli analisti hanno cominciato a sentir parlare di “occidentali” uccisi.
Alcune settimane dopo il raid, le agenzie di intelligence americane avevano raccolto elementi che lasciavano ipotizzare la morte di Weinstein e Lo Porto, senza però collegarla al raid della Cia. Secondo il Nyt, l’Fbi contattò la famiglia di Weinstein già all’inizio di febbraio per comunicarle che il congiunto poteva essere morto e la famiglia pensò che fosse deceduto per qualche malattia. Tuttavia le indagini andarono avanti, raccogliendo quante più informazioni possibili, soprattutto attraverso intercettazioni, non potendo inviare sul posto degli investigatori. Alla fine la Cia arrivò alla conclusione che i due ostaggi potevano essere sempre stati nel compound, già prima che i quattro terroristi venissero spiati, e che non erano mai stati mossi da lì, oppure che vi erano stati condotti in un momento in cui i terroristi non erano stati sorvegliati. “I corpi di Weinstein e Lo Porto rimangono a Shawal, una vallata a strapiombo circondata da picchi innevati – ha concluso il New York Times – sepolti accanto ai corpi di altri quattro uomini, non lontano dal sito del raid Usa”.