Sono stati respinti gli arresti domiciliari per Ilaria Salis, in carcere da 13 mesi in Ungheria per aggressione a due militanti neonazisti. “Le circostanze” legate alla detenzione di Ilaria Salis “non sono cambiate” ed “esiste sempre il pericolo di fuga”. Queste le motivazioni del giudice ungherese Jozsef Sós che ha comunicato il respingimento della richiesta di domiciliari. Troppo pesanti le imputazioni per concederle i domiciliari, anche con il braccialetto elettronico, e per cambiare il suo status di detenuta pericolosa, che viene quindi trasferita con manette e catene alle caviglie, oltre a essere tenuta da un’agente con un’altra catena come un guinzaglio. Così è arrivata in aula, a Budapest, anche oggi, Ilaria e quindi a nulla sono serviti il clamore mediatico, le reazioni internazionali e gli appelli del governo italiano.
L’avvocato Eugenio Losco, che assiste Ilaria Salis, ha dichiarato ad askanews che le motivazioni del giudice, adducendo il pericolo di fuga, sono basate unicamente su una “valutazione del tutto astratta ancorata soltanto al fatto che il reato prevede una pena molto grave fino a 24 anni”. Losco, ha confermato, a questo punto, che intende presentare appello contro la decisione del tribunale. Dunque, Ilaria Salis resta in carcere in Ungheria, dove si trova prigioniera da 13 mesi per aver aggredito due militanti neonazisti ungheresi, dopo il no alla richiesta dei domiciliari presentata dai legali. Intanto, la prossima udienza è stata fissata per il 24 maggio.
“Non condivido la scelta di condurre in carcere una detenuta legata con le catene: continueremo a insistere perché si rispettino tutte le norme internazionali – ha dichiarato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani -. Il giudice non ha voluto concedere i domiciliari, secondo me sbagliando, ma politicizzare questa vicenda non fa bene alla detenuta”, ha concluso. Intanto, Gabriele Marchesi, il 23 milanese accusato insieme a Ilaria Salis dell’aggressione di due neonazisti avvenuta a Budapest l’11 febbraio 2023, non sarà consegnato all’Ungheria. Lo ha deciso la Quinta Corte d’Appello di Milano (la sezione specializzata in procedure di estradizione) accogliendo la richiesta formulata dal sostituto procuratore generale Cuno Tarfusser e dell’avvocato Mauro Straini, difensore del 23enne.
C’è il “rischio reale di un trattamento inumano e degradante” per chi è detenuto in carcere in Ungheria. E’ uno dei motivi che hanno spinto i giudici della Corte d’appello di Milano a rigettare la richiesta di estradizione avanzata da Budapest per Gabriele Marchesi. Secondo i giudici, inoltre, negli istituti di pena ungheresi si presentano anche “reali rischi di violazione dei diritti fondamentali” dell’uomo. La corte d’appello di Milano si è inoltre soffermata sulla “sproporzionalità” tra l’ammontare della pena che il giovane rischia di scontare (in Ungheria il reato di lesioni è equiparato al tentato omicidio e pertanto è essere punito con una pena massima di 16 anni) e i fatti contestati al 23enne (un pestaggio) che si è anche visto revocare dai giudici milanesi la misura cautelare degli arresti domiciliari. I giudici hanno inoltre disposto la liberazione immediata del giovane, finora sottoposto agli arresti domiciliari in quanto destinatario di un mandato di arresto europeo emesso dalle autorità di Budapest.