Cronaca

Nobel per la Pace, premio a etiope Abiy Ahmed per accordo con Eritrea

Il Comitato Nobel norvegese ha annunciato di aver attribuito il premio Nobel per la pace 2019 al premier etiope Abiy Ahmed Ali per i suoi sforzi per riportare la pace nel Nord Est dell’Africa e per la sua decisione di risolvere la disputa di confine con l’Eritrea. Abiy Ahmed, si e’ detto “onorato e felice” di aver ricevuto il prestigioso riconoscimento. “E’ un premio assegnato all’Africa”, ha commentato.

Le motivazioni dell’attribuzione del premio ad Abiy Ahmed, che guida l’Etiopia dal 2 aprile del 2018, riconoscono i suoi sforzi “per raggiungere la pace e la cooperazione internazionale, in particolare per la sua decisiva iniziativa volta a risolvere il conflitto di frontiera con la vicina Eritrea. Il premio vuole essere anche un riconoscimento a tutte le parti interessate che lavorano per la pace e la riconciliazione in Etiopia e nelle regioni dell’Africa orientale e nord-orientale”. “Senza dubbio – avverte il comitato – qualcuno penserà che il premio di quest’anno è stato assegnato troppo presto. Ma il comitato ritiene che questo sia il momento in cui gli sforzi di Abiy Ahmed meritino riconoscimento e necessitino incoraggiamento” . Il comitato Nobel norvegese ricorda che “quando Abiy Ahmed è diventato primo ministro nell’aprile 2018, ha chiarito che desiderava riprendere i colloqui di pace con l’Eritrea. In stretta collaborazione con Isaias Afwerki, il presidente dell’Eritrea, Abiy Ahmed ha rapidamente elaborato i principi di un accordo di pace per porre fine al lungo stallo “nessuna pace, nessuna guerra” tra i due paesi.

Questi principi sono enunciati nelle dichiarazioni che il primo ministro Abiy e il presidente Afwerki hanno firmato ad Asmara e Gedda lo scorso luglio e settembre. Una premessa importante per la svolta è stata la volontà incondizionata di Abiy Ahmed di accettare la sentenza arbitrale di una commissione internazionale nel 2002″. “Quando Abiy ha teso la mano, il presidente Afwerki l’ha afferrata e ha contribuito a formalizzare il processo di pace tra i due Paesi”. Il comitato “spera che la pace possa portare cambiamenti positivi per l’intera popolazione di Etiopia ed Eritrea”. In Etiopia “anche se molto resta da fare, Abiy Ahmed ha avviato importanti riforme che danno a molti cittadini speranza per una vita migliore”. Nei suoi primi cento giorni da premier Abiy Ahmed “ha abolito lo stato di emergenza del paese, concedendo l’amnistia a migliaia di prigionieri politici, interrompendo la censura dei media, legalizzando i gruppi di opposizione illegali, licenziando leader militari e civili sospettati di corruzione e aumentando significativamente l’influenza di donne nella vita politica e comunitaria etiope. Ha anche promesso di rafforzare la democrazia organizzando elezioni libere ed eque”. Di recente antiche rivalità etniche sono riprese in Etiopia, avverte il comitato, che ricorda che secondo gli organismi internazionali fino a tre milioni di etiopi sono stati costretti a sfollare. “Questo si aggiunge al milione circa di rifugiati dai Paesi vicini”. Come premier “Abiy Ahmed ha cercato di promuovere la riconciliazione, la solidarietà e la giustizia sociale. Tuttavia molte sfide restano irrisolte. Le violenze etniche continuano ad aumentare e abbimao visto esempi preoccupanti di questo negli ultimi mesi e settimane”.

IL PERSONAGGIO

Quando venne eletto, un anno e mezzo fa, non c’era in Etiopia un tuk-tuk che non portasse l’adesivo del suo volto: Abiy Ahmed Ali, insignito oggi del premio Nobel per la Pace, ha rappresentato per il Paese africano la speranza di cui aveva bisogno. L’entusiasmo era tale che l’Economist la defini’ “Abiymania”. Abiy fece promesse coraggiose e seppe mantenerle. Almeno finora. Aveva assicurato apertura, democratizzazione e riconciliazione. E le ha concretizzate con un governo congiunto, una donna come presidente, la pace dopo 20 anni di guerra con la vicina Eritrea – principale motivazione per il Nobel – la rimozione dei partiti di opposizione dall’elenco dei gruppi terroristici e la scarcerazione dei prigionieri politici e dei giornalisti. A 43 anni, e’ probabilmente il leader politico piu’ istruito del Paese – e uno dei piu’ giovani del continente – e nel suo curriculum vanta un dottorato, esperienza militare e la creazione dell’Agenzia di sicurezza della rete di informazioni (Insa), un servizio di spionaggio nel paese africano.

Abiy e’ nato il 15 agosto 1976 ad Agaro, un’area ricca di risorse naturali e caffe’ – il prodotto di punta delle esportazioni etiopiche – dalla regione di Oromia, nel Sud-Ovest, dove vive il piu’ grande gruppo etnico del Paese, gli oromi. E’ cresciuto in una famiglia multiculturale con madre amara – l’altro grande gruppo etnico del Paese – di religione cristiana ortodossa e padre musulmano oromo. Sposato, padre di tre figlie, Abiy parla fluentemente, oltre all’inglese e all’amarico (principali lingue del Paese del Corno d’Africa), oromo e tigrino. Le radici, sommate alla giovinezza e al carisma di un leader che ha conquistato l’opinione pubblica internazionale, hanno portato speranza alla popolazione, che lo ha considerato la persona che avrebbe potuto guidare la tanto desiderata unita’ nazionale dopo anni di continui scontri etnici.

In testa alla lista dei successi c’e’ la firma dello storico accordo di pace con l’Eritrea, nazione diventata indipendente dall’Etiopia nel 1993, ma le dispute sui confini hanno portato alla guerra tra il 1998 e il 2000 che ha causato la morte di decine di migliaia di persone. Si e’ conclusa con l’Accordo di Algeri, impopolare in Etiopia, perche’ molti etiopi lo vedono come tradimento di una guerra vinta e in cui Abiy stesso aveva combattuto come membro dell’unita’ di radiocomunicazione dell’esercito. “Lo stato di guerra esistente tra i due Paesi e’ terminato” il 9 luglio 2018: e’ l’annuncio che si riflette nell’accordo firmato dallo stesso Abiy e dal presidente dell’Eritrea, Isaias Afwerki, a Riad alcuni mesi dopo. Ahmed ha iniziato la sua carriera politica prestando servizio nell’esercito etiope, con il quale ha partecipato a missioni internazionali di pace in diversi Paesi, tra cui il Ruanda; e ha ottenuto un dottorato all’Istituto di studi sulla sicurezza e la pace di Addis Abeba nel 2017. E’ diventato Ministro della Scienza e della Tecnologia nel 2015 e ha fondato l’Insa, un’agenzia di sicurezza informatica di sorveglianza.

Con le dimissioni premature dell’ex premier, Hailemariam Desalegn, il 15 febbraio 2018, il partito al potere, una coalizione che raggruppa quattro dei principali partiti regionali, lo ha eletto successore. E’ il primo capo del governo di etnia oromo e di fede protestante in un Paese finora sempre governato da copti ahmara o tigrini. “Noi etiopi abbiamo bisogno della democrazia e della liberta’, e siamo autorizzati ad averli. La democrazia non dovrebbe essere un concetto estraneo per noi”, ha dichiarato Abiy nel discorso del giuramento del 2 aprile 2018. Sul fronte interno, Abiy ha abbandonato il monopolio dello Stato su molti settori chiave dell’economia (come aviazione e telecomunicazioni). E non si e’ impegnato solo per la pace del suo Paese: Abiy ha presieduto l’incontro tra il presidente del Sud Sudan Salva Kiir e il suo rivale Riek Machar, in lotta da cinque anni in una delle piu’ violente guerre civili in corso in Africa che ha portato alla morte di decine di migliaia di persone e alla fuga di milioni di cittadini. E ha guidato il Sudan nella transizione dopo le deposizione dell’ex presidente Omar al Bashir. Non mancano tuttavia le tensioni. Lo scorso giugno ci fu il tentativo di un golpe, orchestrato da un ex generale nella Regione di Amara. Colpo fallito ma il messaggio e’ arrivato: non tutti amano Ahmed.

LA PACE DOPO LA GUERRA INFINITA

Oggi il centesimo premio della storia del Nobel ricompensa il primo ministro dell’Etiopia Abiy Ahmed per “la sua azione decisiva per risolvere il conflitto al confine con la vicina Eritrea” oltre a riconoscere il suo “impegno a favore della pace e della riconciliazione in Etiopia e nelle regioni orientali e nord-orientali dell’Africa”, in qualita’ di mediatore in Sudan. In effetti, il conflitto ventennale combattuto a partire dal 1998 lungo il confine tra le due ex colonie italiane ha avuto ripercussioni negative sulla stabilita’ dell’intera regione del Corno d’Africa – in particolare in Somalia – satura di violenze e priva di diritti, ma geopoliticamente strategica. Si tratta di una crisi che in realta’ risale alla fine della Seconda guerra mondiale, quando l’Onu stabili’ che l’Eritrea fosse federata con l’Etiopia, mantenendo pero’ la propria autonomia. Gradualmente il governo di Addis Abeba trasformo’ la federazione in una vera e propria annessione, che ebbe luogo nel 1962. Da allora seguirono 30 anni di scontri, che si conclusero nel 1991, quando il Fronte di liberazione del popolo eritreo (Fple), guidato dall’attuale presidente Isaias Afewerki, condusse il Paese all’indipendenza dall’Etiopia. Quattro giorni dopo l’entrata in Asmara dell’Fple, il 28 maggio 1991 cadde anche la capitale etiopica, liberata dal Fronte popolare per la liberazione del Tigray, spalleggiato dal fronte eritreo che era allora uno stretto alleato.

Due anni dopo, il 27 aprile 1993, i risultati del referendum di autodeterminazione dissero che il 99,83% dei votanti aveva optato per la secessione e l’Etiopia fu il primo Paese a riconoscere l’indipendenza eritrea. Sembrava che si fossero risolti molti degli annosi problemi ereditati dal processo di decolonizzazione. Tuttavia, dopo decenni di rivalita’, l’idillio tra Asmara e Addis Abeba duro’ pochissimo. Sette anni dopo, il 6 maggio 1998, una scaramuccia per un territorio da sempre conteso, la piana di Badme, di nessun valore ne’ economico ne’ strategico, innesco’ un conflitto devastante, portando alla luce tensioni accumulate negli anni. La guerra, che provoco’ decine di migliaia di morti, si chiuse con un faticoso accordo, firmato ad Algeri nel dicembre del 2000. Ma il conflitto, di fatto, non si concluse mai e l’accordo non venne attuato. L’Etiopia, infatti, non riconobbe il verdetto della Corte arbitrale permanente dell’Aia, che, nel 2003, assegno’ Badme all’Eritrea. Percio’ non ritiro’ mai il suo esercito da quel territorio, ne’ vi smantello’ la sua amministrazione civile. Lungo il confine, per 18 anni un conflitto a bassa intensita’ prosegui’, congelando l’area in una specie di “guerra fredda”. Durante tutto il periodo del conflitto e’ stata interrotta la connessione telefonica tra i due Paesi cosi’ come il traffico aereo e i collegamenti stradali con pesanti ripercussioni sia sulle popolazioni – centinaia di famiglie stabilite dalle due parti del confine sono state separate – che sull’economia delle due nazioni.

La svolta nei rapporti tra Addis Abeba e Asmara e’ stata resa possibile dall’arrivo alla guida del Paese il 28 marzo 2018, in sostituzione di Hailemariam Desalegn, del premier Abiy Ahmed, 43 anni, ex-militare, dell’etnia oromo – da sempre la piu’ marginalizzata – leader della coalizione del Consiglio esecutivo del Fronte democratico rivoluzionario popolare dell’Etiopia (Fdrpe). Da subito Ahmed ha promesso la pace con l’Eritrea, oltre alla scarcerazione di migliaia di prigionieri politici per porre fine a frequenti proteste di piazza e alla liberalizzazione di alcuni settori strategici dell’economia. Nel giro di poche settimane Ahmed e il suo Fdrpe hanno intavolato trattative con il governo di Asmara e il presidente eritreo, Isaias Afeworki. Ad primo incontro storico tra i due si e’ arrivato l’8 luglio 2018, giorno in cui per la prima volta in 20 anni un primo ministro etiope e’ stato accolto nella capitale eritrea. La foto dell’abbraccio tra Ahmed e Afeworki ha fatto il giro del mondo, simbolico dello scioglimento delle tensioni storiche tra le due ex colonie italiane. Nel corso dell’incontro al palazzo presidenziale, i due leader hanno firmato una dichiarazione di pace e amicizia per mettere la parola fine al conflitto, che stabilisce la piena accettazione e realizzazione dell’accordo di Algeri del 2000.

Nei mesi successivi alla riapertura dei canali diplomatici le comunicazioni telefoniche tra i due Paesi sono state ripristinate, sono ripresi voli aerei diretti tra le due capitali e le strade per i porti eritrei di Assab e Massaua sono state riaperte, consentendo all’Etiopia di avere nuovamente sbocchi al mare. In base agli accordi di pace Badme passa sotto l’autorita’ dell’Eritrea, ma la popolazione locale ha protestato, rivendicando l’appartenenza della citta’ al territorio etiopico. Un altro nodo riguarda gli afar eritrei contrari a cambiamenti sul loro territorio senza il loro consenso, in riferimento alla Dancalia, sul quale si trova il porto di Assab. Al di la’ di queste ‘resistenze’ pacificazione e riavvicinamento tra Etiopia e Eritrea stanno procedendo regolarmente. Qualche riflesso positivo si e’ registrato anche su un altro scenario: la Somalia, dove da tempo Eritrea ed Etiopia stavano combattendo una guerra ‘nascosta’. Asmara veniva accusata di sostenere i ribelli jihadisti di al-Shabaab che attaccavano le forze di pace della missione africana (Amison, conclusa lo scorso giugno), di cui faceva parte l’Etiopia. Peraltro, gli osservatori fanno notare che e’ il secondo anno consecutivo che il Nobel per la Pace viene assegnato ad una personalita’ africana. Nel 2018, pochi mesi dopo la sua visita in Italia, il premio e’ andato al ginecologo congolese Denis Mukwege, che nel suo Panzi Hospital di Bukavu accudisce le donne vittime di stupri e violenze di guerra nell’est della Repubblica democratica del Congo.

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