Tutto rinviato a domani. Ripartirà alle 11, il negoziato sulle nuove nomine per i vertici delle istituzioni Ue. Iniziato ieri sera attorno alle 19 è stato sospeso stamane dal presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk che lo ha riconvocato per domani alle 11, per l’appunto. Il presidente francese, Emmanuel Macron, uscendo dal vertice Ue, parla di “fallimento”. “Abbiamo finito questa giornata con quello che si puo’ chiamare un fallimento, perche’ non e’ stato trovato un accordo e credo che abbiamo dato un’immagine molto negativa dell’Europa – chiosa Macron -. Nessuno puo’ essere contento” di questo risultato “dopo tante ore. Questo fallimento e’ dovuto alle divisioni, da una parte in seno al Partito popolare europeo, e dall’altro lato divisioni geografiche in seno al Consiglio”.
Per Angela Merkel, “non siamo andati al voto perche’ nessun candidato avrebbe avuto la maggioranza”. Inoltre, anche una maggioranza con un margine troppo esiguo, aggiunge la cancelliera tedesca, “non sarebbe stato abbastanza, anche se sufficiente in base alle regole, al fine di evitare tensioni” che avrebbero potuto condizionare il futuro dell’Ue. Giuseppe Conte, dal canto suo, fa sapere che “l’Italia non e’ contro Timmermans, persona di valore e grande esperienza, ma il metodo” sulle nomine “con un pacchetto che include anche Timmermans”. Il premier conferma che l’Italia e “altri 10, 11 paesi” si sono schierati contro la nomina di Timmermans. I confronti sono cominciati poco dopo le 23, alla fine della cena di lavoro, quando il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha avviato una girandola di consultazioni bilaterali con i capi di Stato e di governo, che è poi durata tutta la notte, per cercare delle convergenze fra le diverse posizioni che facilitassero un accordo.
Il punto di partenza era il cosiddetto “pacchetto di Osaka”, ovvero la proposta che i leader di Francia, Germania, Spagna e Olanda hanno discusso in Giappone con Tusk durante il vertice del G20, venerdì e sabato scorsi (ma secondo il premier italiano Giuseppe Conte, in realtà, la proposta era stata elaborata dai promotori già nei giorni precedenti). Il pacchetto prevedeva che alla presidenza della Commissione venisse designato lo “Spitzenkandidat” (“candidato capolista”) dei Socialisti, l’olandese Frans Timmermans; che la presidenza del Consiglio europeo andasse al premier belga uscente, il liberale Charles Michel, e che venisse nominata come Alto Rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune una donna del Ppe (le indiscrezioni indicavano soprattutto due nomi possibili: la bulgara Kristalina Georgieva, attuale direttore esecutivo della Banca Mondiale ed ex commissaria europea, o la sua connazionale Mariya Gabriel, attualmente commissaria Ue all’Economia digitale).
Il pacchetto suggeriva anche di attribuire allo “Spitzenkandidat” del Ppe, Manfred Weber, la presidenza del Parlamento europeo per tutta la durata di questa legislatura (due mandati da due anni e mezzo ciascuno); ma naturalmente la decisione finale spetta agli eurodeputati che dovranno eleggere il nuovo presidente dell’Assemblea mercoledì prossimo a Strasburgo, salvo sorprese. Riguardo alla Banca centrale europea, c’è l’intesa di massima che il nuovo presidente, il successore di Mario Draghi, possa essere deciso più tardi; ma comunque, nella configurazione del pacchetto, sembrava essere destinato a una candidatura francese. Già nel primo pomeriggio di ieri, comunque, il cosiddetto “pacchetto di Osaka” si scontrava con l’opposizione dura dei leader del Ppe, riuniti nel tradizionale pre-vertice a Bruxelles in vista del Consiglio europeo che sarebbe cominciato poche ore più tardi. L’opposizione, indirizzata soprattutto contro il cedimento della guida della Commissione al socialista Timmermans, è stata ribadita nello stesso Consiglio europeo dalla maggior parte dei capi di Stato e di governo affiliati al Ppe, a cui si è aggiunto, prevedibilmente, il “no” deciso dei paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia).
Insomma, al “pacchetto di Osaka” ha continuato a opporsi per tutta la notte l’intransigenza del Ppe, che continua a insistere sul principio degli “Spitzenkandidat”, ma che non sembra disponibile ad accettare nessun altro candidato che il proprio, Weber. D’altra parte, una designazione di Weber alla guida della Commissione appare oggi estremamente improbabile: sarebbe una sconfitta netta e inaccettabile per il presidente francese Emmanuel Macron, che l’ha dichiarato esplicitamente e ripetutamente inadatto a quel ruolo. Diverse fonti sostengono che stamattina sia ancora sul tavolo, ma neanche la candidatura Timmermans pare abbia molte chance di passare. “Non sembra che abbia un consenso unanime”, ha riferito Conte durante una breve discesa in sala stampa, a sorpresa, poco prima delle 7 del mattino.
Se Tusk decidesse di passare al voto, l’olandese rischierebbe di non passare, (serve la “maggioranza qualificata rafforzata”, ovvero almeno 21 paesi rappresentanti più del 65% della popolazione) o più probabilmente di passare di misura, con diversi paesi contrari, rappresentando una Unione europea divisa. Ma anche i leader del Ppe sono di fronte a un difficile dilemma: se vogliono davvero far sopravvivere il processo degli “Spitzenkandidaten”, dovranno appoggiare un candidato diverso dal proprio (se non Timmermans, la liberale danese Margrethe Vestager, attuale commissaria Ue alla Concorrenza); se, invece, insisteranno per avere un loro affiliato alla guida della Commissione, dovranno accettare che non faccia parte della lista degli “Spitzenkandidat”.
Proprio quest’ultimo punto è stato evocato da Conte con i giornalisti stamattina: “Il criterio dello ‘Spitzenkandidat’ – ha osservato il premier – sta incontrando difficoltà. Non può essere l’unico criterio, non dobbiamo legarci solo a quello, alla logica delle affiliazioni politiche. Dobbiamo tenere conto che stiamo scegliendo un presidente (della Commissione, ndr) che dovrà guidare l’Europa per i prossimi cinque anni, con una grande strategia e visione; e quindi – ha concluso Conte – dobbiamo cercare di mantenerci flessibili nella scelta del candidato più giusto e che sicuramente raccolga il più ampio consenso”. In questo caso, aumenterebbero soprattutto le chance del popolare francese Michel Barnier, che, oltre a vantare un ambito vastissimo di competenze (è stato due volte commissario europeo e quattro volte ministro), ha rappresentato concretamente negli ultimi due anni l’unità dei Ventisette come negoziatore capo dell’Ue per la Brexit.