Il governo non cade ma la crisi rimane. Quando basta per far tirare un sospiro si sollievo alle forze di opposizione che dopo le scosse gialloverdi delle ultime ore, avevano annusato aria di urne. E a ben ragione. Perché i partiti che contrastano il governo Lega-M5s, al netto delle megafonate dei loro leader, al momento non hanno nulla da offrire agli elettori. Da un lato, c’è un centrosinistra con una sinistra non pervenuta e un Pd con un segretario, Nicola Zingaretti, che dopo quattro mesi dalla sua proclamazione, non ha cambiato – come aveva annunciato in pompa magna – neanche la sede del partito in quanto non ci sarebbe neanche un euro nelle casse del Nazareno. Eppure, il governatore del Lazio, ce la sta mettendo tutta e megafona attraverso Facebook: “Ambiente, lavoro, scuola, investimenti, infrastrutture, imprese, crescita. Il Pd serra le fila per la battaglia politica nel Paese e per la Costituente delle idee. Martedì sono stati convocati a Roma i segretari regionali e delle città metropolitane. Venerdì la direzione nazionale”. Buoni propositi. Ma la realtà è un’altra.
Il solco tra zingarettiani e renziani è sempre più profondo. Prova n’è l’ultima mossa del Nazareno che ha tolto la segreteria regionale al renziano doc, Davide Faraone, divenuto segretario dem dell’isola lo scorso dicembre. Ufficialmente, la commissione nazionale di garanzia dei democratici ha annullato l’elezione regionale del Pd in Sicilia, accogliendo i ricorsi arrivati a Roma dalla mozione Zingaretti, che nell’isola aveva candidato Teresa Piccione, ex deputata vicino al governatore del Lazio che a breve nominerà un commissario del partito in Sicilia. “Decisione di una gravità senza precedenti”, ha tuonato il senatore renziano, Andrea Marcucci. Come dire, la guerra fratricida continua. Ma Zingaretti non molla: “Vogliamo preparare al fianco dell’opposizione parlamentare una mobilitazione nei territori contro il ‘Gatto e la Volpe’ che stanno ingannando gli Italiani”. La volontà c’è tutta, non sempre è sufficiente. E se da un lato c’è un Pd in continua ricerca della propria identità, dall’altra parte dell’opposizione, c’è Forza Italia che tenta ancora di capire cosa vuole fare da grande.
Di certo, il partito di Silvio Berlusconi non molla il pressing su Matteo Salvini, per far cadere il governo. L’ultimo appello ai leghisti, in ordine di tempo, arriva dal portavoce azzurro, Giorgio Mulè: “Abbiano il coraggio di far calare il sipario su questo incubo”. Ma il vero problema degli azzurri non è certo far scoppiare la coppia Salvini-Di Maio ma rilanciare un partito in cui la prospettiva di una scissione, pur essendo stata negata durante la convention di Roma, rimane una delle possibilità da considerare. I margini di manovra, infatti, sono ridotti all’osso. C’è chi addirittura la pronostica entro l’estate. Tuttavia, le diplomazie sono a lavoro. Meno di quarantott’ore fa, Mara Carfagna e Giovanni Toti si sono incontrati a Roma per uscire dall’impasse. I due coordinatori azzurri, in sostanza, proveranno a presentare una proposta di sintesi sulla riforma della democracy interna di Forza Italia alla prossima riunione del ‘tavolo delle regole’, che dovrebbe tenersi la prossima settimana. Da consegnare poi a Silvio Berlusconi.
Gli sherpa stanno lavorando per definire punti di incontro e trovare il ‘lodo primarie’, che non faccia saltare il banco, anche perché, sondaggi alla mano, un eventuale strappo del governatore ligure penalizzerebbe soprattutto il partito, portandogli via circa un 2 per cento. Il che collocherebbe Fi, più o meno, al di sotto dei consensi di Fratelli d’Italia. Come dire, la fine di un sogno azzurro. Il governatore, tuttavia, insiste sulla data di convocazione delle primarie in autunno, sulla necessità di nuove regole e il passo indietro dei coordinatori regionali per ricominciare daccapo. Tutte richieste che difficilmente potranno essere accolte. Non a caso i ‘totiani’ scalpitano. La trattativa è appesa a un filo, già si rincorrono le voci su un nuovo gruppo di parlamentari pronto a seguire subito il governatore ligure. Mentre a Arcore, ci sarebbe un Berlusconi sempre più infastidito dalle liti di pollaio e le fughe in avanti su primarie aperte ai non iscritti. Di certo, lo show down è atteso per la prossima settimana. Altro che partiti di opposizione pronti per governare.