“Novantadue”, al Piccolo Eliseo in scena Falcone e Borsellino. Il racconto di Fava

L’opera diretta da Cotugno, fa emergere umanità e solitudine video

Claudio Fava novantadue

È stato l’anno di Tangentopoli e dell’assassinio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino il 1992 e Claudio Fava ha deciso di raccontare quei fatti, ma soprattutto quegli uomini, nello spettacolo “Novantadue”, in scena al Piccolo Eliseo fino al 6 maggio, diretto da Marcello Cotugno. In scena ci sono Filippo Dini nel ruolo di Falcone e Giovanni Moschella in quello di Borsellino. Dalle loro parole emerge la forza, l’umanità, il rigore, il senso profondo dello Stato dei due magistrati, ma anche la solitudine a cui furono condannati. “E’ stata una grande sfida perché sono state fatte 20 fiction, 12 film, 5 mila libri, però noi abbiamo preso spunto dal testo di Fava che parla proprio dell’amicizia tra Falcone e Borsellino, e quindi io ho cercato di navigare questo lato più emotivo della storia, e quindi mette in luce la grande umanità, e anche la relazione intima, come amicale che c’era fra i due”. Dopo la recente sentenza della Corte d’Assise di Palermo sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia tanti punti chiave di quegli anni appaiono più chiari e nello spettacolo si evidenzia proprio il vuoto che si fece ad un certo punto attorno a Falcone e Borsellino. “Quello che è fondamentale è quanto questi due uomini siano stati lasciati soli in qualche modo dallo Stato e quanto sia stato importante per loro la ricerca della verità. Aver vissuto da regista le varie fasi di tutta questa trattativa e farlo oggi, quando la sentenza è stata appunto fatta il 20 aprile, è anche una cosa abbastanza emozionante per noi, che lo abbiamo portato in giro per tanto tempo”.

Il racconto comincia in Sardegna, nell’estate 1985, all’Asinara, nel carcere di massima sicurezza dove Falcone e Borsellino completarono l’istruttoria del maxiprocesso. “Diciamo così, è così che inizia lo spettacolo, e inizia dando appunto una cifra molto particolare alla storia perché inizia dalla loro amicizia, inizia dal loro rapporto, e questo credo sia fondamentale, comunque è la cosa su cui abbiamo lavorato di più proprio per restituire un’immagine estremamente umana di questi due personaggi e allontanarli, come era nei loro intenti, come più volte hanno ripetuto, in presenza anche pubblica, di non essere riconosciuti come eroi, come martiri, come icone, ma, come diceva Falcone, persone che stavano facendo il proprio lavoro”. “Il teatro in generale, come mezzo, ci ha permesso di lavorare molto di più su una serie di convenzioni, simboli, astrazioni e quindi su un gioco di stili teatrali che vanno dal naturalismo all’astrazione, allo straniamento, e quindi questo chiaramente permette, abbattendo più volte la quarta parete, che il pubblico si senta realmente coinvolto in quello che sta succedendo”.[irp]