Una volta si chiamava semplicemente beneficenza, oggi il termine suona decisamente riduttivo. Il mondo della filantropia sta infatti cambiando profondamente il suo ruolo e la sua portata aggiungendo alla componente etica, che rimane dominante, una declinazione finanziaria e una strategica. È il caso per esempio dell’imprenditore che decide di investire nel sociale anche per diversificare il proprio portafoglio o di quello che prepara un futuro nella cultura o nel terzo settore per i propri figli non direttamente coinvolti nel passaggio generazionale in azienda.
Stefania Pedroni, responsabile del Competence Center High Net Worth Individual di Intesa Sanpaolo Private Banking: “I nuovi filantropi sono tutti figli del babyboom quindi sono persone cresciute con delle logiche sicuramente più imprenditoriali, con delle logiche di efficienza e di risultato, ma anche con un’etica un po’ diversa, quella del ritorno sociale e con la volontà di monitorare comunque, anche nel momento in cui erogano del denaro, il risultato finale. Credo che sia un discorso generazionale”.
Tutto questo impone però agli aspiranti benefattori di evitare il fai-da-te e le banche rispondono con una nuova figura professionale. “La nuova figura che sta nascendo, che è nata quantomeno nella nostra struttura ed è già molto operativa è quella del philanthropy advisor, un collega, un professionista, che ha competenze estremamente diversificate, deve avere competenze tax, legal e anche di psicologia comportamentale”.
Nel tempo è cresciuta anche la varietà degli strumenti a disposizione dei filantropi, specie per modulare i vari gradi di coinvolgimento fisico e patrimoniale, per cui oggi è possibile dire che la filantropia non è più solo per grandi famiglie con ingenti patrimoni. “Non bisogna essere estremamente ricchi, non bisogna essere necessariamente ormai in pensione per dedicarsi a fare il filantropo con una modalità differente dalla semplice donazione”.
Un esempio sono i cosiddetti fondi filantropici, che rappresentano soluzioni a metà strada tra la costituzione di una fondazione vera propria e la semplice donazione. In questo caso il benefattore utilizza una fondazione già esistente, all’interno della quale crea un fondo che porta magari il proprio cognome. Un modo per scaricare il peso amministrativo e per concentrarsi sull’impiego delle somme donate.