Obama, presidente debole che spinge gli Usa verso i repubblicani

Obama, presidente debole che spinge gli Usa verso i repubblicani
2 novembre 2014

 

obama

di Enzo Marino

Una delle parole più ricorrenti, quando si parla del presidente degli Stati Uniti, è “weak”.
Barack Obama sarebbe “debole”, secondo i suoi avversari politici, gli elettori e persino per i candidati democratici al Senato, che hanno tutti deciso – tranne uno, Gary Peters – di tenersi a distanza dal presidente, per paura di perdere consensi. Il 4 novembre, gli elettori dovranno rinnovare la Camera e un terzo del Senato, ma non vi è dubbio che il presidente rimanga la persona più importante di queste elezioni di metà mandato. Non è impopolare quanto il suo predecessore, George W. Bush, otto anni fa – un’impopolarità che contribuì al successo alle elezioni di metà mandato, in quel caso, dei democratici – ma certamente è scomparso il forte sostegno che lo ha accompagnato per alcuni anni. Gli ultimi due, però, stanno pesando sull’eredità che Obama lascerà nel 2016 e su queste elezioni di midterm, che potrebbero ridare ai repubblicani il controllo del Senato, mai più riconquistato dopo averlo perso durante la presidenza Bush.

GLI SCANDALI POLITICI

Quali fattori hanno influito negativamente? Sin dall’inizio del suo incarico, Obama ha puntato a ripristinare la fiducia degli americani nelle istituzioni pubbliche, ma dopo sei anni i cittadini appaiono sempre più scettici nei confronti del governo. “Ogni settimana o mese che passa, un’agenzia governativa mostra un passo falso o è coinvolta in scandali che, nel tempo, hanno profondamente eroso la fiducia pubblica” ha scritto Peter Baker sul New York Times. L’agenzia delle Entrate statunitense, che ha preso di mira associazioni e gruppi repubblicani, l’impossibilità del Border Patrol di affrontare “la crisi umanitaria”, come l’ha definita Obama, generata dall’arrivo di migranti bambini al confine con il Messico, le falle nel sistema di sicurezza del Secret Service a protezione della Casa Bianca e della famiglia presidenziale. A questi si possono aggiungere il caos generato dai problemi tecnici che per settimane hanno bloccato il sito healthcare.gov, creatura dell’Obamacare, la riforma sanitaria, per permettere alle persone di confrontare le polizze assicurative, e naturalmente le preoccupazioni per la privacy delle persone sorte con la scoperta di una rete di sorveglianza praticamente senza limiti delle agenzie di intelligence, grazie alle rivelazioni di Edward Snowden.

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L’EBOLA In calo anche la fiducia nei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (Cdc) per la gestione dei casi di ebola negli Stati Uniti, per cui è stato molto rimproverato anche Obama, incapace di agire, secondo i critici, per contrastare il virus, per esempio impedendo i viaggi tra gli Stati Uniti e i Paesi dell’Africa occidentale contagiati. Secondo un sondaggio del Washington Post e della Abc, il 49% della popolazione approva il suo operato per contrastare l’ebola, ma il 79% reputa una “buona idea” quella di impedire i viaggi con i Paesi colpiti dal virus, secondo il sondaggio di un istituto di ricerca affiliato con i repubblicani. Il presidente, per difendere il proprio operato e rassicurare la popolazione, ha più volte invitato i suoi concittadini a non farsi prendere dall’isteria e a lasciarsi guidare dai fatti e dalla scienza.

LA DISILLUSIONE Con il disincanto che si allarga dalle singole agenzie alla leadership nazionale, Obama è arrivato al punto più basso dell’approvazione popolare. La disillusione, oltre che dai fatti, secondo Baker, “è stata sovralimentata dall’implacabile passo dei moderni mezzi di informazione, dal chiasso che non perdona dei social media e dalle calcolate azioni partigiane”. Il trend di sfiducia e disillusione va oltre Obama, come dimostrano i sondaggi Gallup: la fiducia degli americani dal 2009 è crollata in pratica verso tutte le istituzioni, inclusi l’esercito, le scuole pubbliche, la Corte suprema, le testate giornalistiche, il sistema sanitario.

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L’ECONOMIA E’ sorprendente, soprattutto per molti analisti esteri, che la ripresa economica non stia favorendo Obama e i democratici. Il presidente lo ha più volte ribadito in queste settimane: “Considerando quasi tutti gli indicatori economici, stiamo meglio oggi di quando sono entrato in carica” ha detto, rendendo anche omaggio a uno degli slogan più efficaci della campagna del presidente Ronald Reagan. “Obama ha ragione – ha scritto Max Ehrenfreund sul Washington Post – siamo nel più lungo periodo di crescita ininterrotta dell’occupazione nella storia”. Nel terzo trimestre dell’anno, il prodotto interno lordo americano ha segnato un rialzo del 3,5%, superiore alle previsioni degli analisti, che attendevano un aumento del 3,1 per cento. L’economia americana cresce a passo veloce grazie a una crescita dei consumi e degli investimenti aziendali (+5,5%, dopo il +9,7% dei tre mesi precedenti), che hanno bilanciato le preoccupazioni sul possibile impatto negativo del rallentamento a livello internazionale. La crescita “è stata solida e in linea con una serie di indicatori che mostrano il miglioramento del mercato del lavoro, della fiducia dei consumatori, la sicurezza energetica interna e il lento aumento dei costi della sanità” ha detto Jason Furman, presidente del Council of Economic Advisers della Casa Bianca.

Anche se dalla crisi finanziaria l’economia “si è ripresa più velocemente di altre a livello globale” e i dati recenti dimostrano che “gli Stati Uniti continuano a guidare la ripresa globale”, c’è ancora lavoro da fare per sostenere la crescita “investendo in infrastrutture, nel manifatturiero e nell’innovazione” ha aggiunto Furman, spiegando che “bisogna garantire che i lavoratori sentano i benefici della crescita, aumentando il salario minimo e sostenendo l’equità dei compensi”. Il problema, secondo Ehrenfreund, è che “dalla recente crescita economica hanno tratto vantaggio soprattutto le persone molto ricche, mentre i salari e il reddito mediano cresce a fatica. La classe media sta peggio oggi di quando Obama è entrato in carica. Solo il 42% degli americani approva la gestione dell’economia da parte del presidente, secondo l’ultimo sondaggio di Washington Post-Abc News”. Negli Stati Uniti sta crescendo la disuguaglianza, e i motivi sono al momento terreno di scontro e dibattito. Di sicuro, gli americani appaiono frustrati e Obama ha smesso di parlare di disuguaglianza economica quest’anno, vedendo che i sondaggi mostrano che l’argomento mette le persone a disagio, ha aggiunto il giornalista del Washington Post.

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LE CRISI INTERNAZIONALI  L’aggettivo “weak” riferito a Obama è molto presente nel dibattito sulle sue scelte di politica internazionale. Obama è “debole” nella risposta all’Isis, gli estremisti sunniti che hanno conquistato un vasto territorio in Siria e Iraq, è “debole” con il presidente russo, Vladimir Putin, sulla crisi ucraina, è “debole” con l’Iran sul suo programma nucleare. A dirlo sono stati leader politici stranieri, ex funzionari repubblicani, ma anche ex ministri di Obama, come Leon Panetta, Robert Gates e Hillary Clinton, intervenuti in tempi e modi diversi per esprimere il loro dissenso per le scelte di Obama sulla guerra siriana e nel contrasto all’ascesa degli estremisti. Le elezioni del 4 novembre non potranno dare ai repubblicani un mandato a governare. La loro vittoria e la conquista della maggioranza in entrambe le Camere del Congresso darebbe però prova dell’impopolarità di Obama e della fine della sua ambiziosa agenda politica, già messa a dura prova dalla maggioranza conquistata dai repubblicani alla Camera nel 2010. In caso di sconfitta, gli ultimi due anni di presidenza di Obama, messo in queste settimane ai margini dal suo stesso partito, sarebbero solo una lunga anticamera alle presidenziali del 2016.

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