di Enzo Marino
Gli Usa, ha detto, “sono molto meno violenti di 20 o 30 anni fa” e “il problema dell’immigrazione è minore non solo rispetto a 20-30 anni fa ma anche da quando sono diventato presidente. Quel problema va comunque risolto”. Secondo il 44esimo presidente Usa, la visione del Gop sull’immigrazione illegale “non è corretta”. E così Obama ha lodato i risultati raggiunti su più fronti con il Messico, un “amico, un vicino, un membro della famiglia”. Complimenti, questi, ricambiati da Pena Nieto, che lo considera “un buon vicino”. I due leader hanno brindato alla “partnership duratura” tra le due nazioni, un legame che negli anni – ha aggiunto Obama – si è rafforzata. E in un altro attacco indiretto a Trump ha detto che “nonostante una retorica eccessiva, gli Usa danno valore alla partnership” con la nazione dell’America centrale. Niente muri dunque lungo il confine tra le due nazioni – come predica Trump – e nemmeno “intorno alla globalizzazione”, che è “un dato di fatto per via della tecnologia, dei cambiamenti nei trasporti, dei processi di produzione e distribuzione”. Obama dunque rifiuta di accettare anche una retorica contro gli scambi di libero scambio a lui tanto cari e contro cui il candidato del Gop si è schierato. Per il leader americano “la strategia migliore sta nel guardare al futuro trovando nuove direzioni e non guardare al passato distruggendo quanto fatto”. Anche perché le “guerre commerciali e le barriere complicano le attività delle aziende”. Certo, ha aggiunto Obama, “c’è il richiso che la globalizzazione aumenti le disuguaglianze ma è su questo che ci dobbiamo concentrare affinché con essa aumentino le opportunità per tutti e allo stesso tempo si risponda alle sfide climatiche ed ambientali”.
Sul fronte della Turchia, Obama ha ribadito che gli Stati Uniti sono un “amico e un partner” della Turchia. Ma Washington chiede che successivamente al tentativo di colpo di stato di venerdì scorso nel Paese anatolico, Ankara “garantisca la democrazia e il respetto delle libertà per cui il popolo turco ha fallito”. Secondo lui l’opposizione e i giornalisti dovrebbero sentirsi liberi di “fare sentire le loro preoccupazioni”. La Casa Bianca torna così a chiedere che le indagini per capire chi c’è dietro al golpe siano condotte “in linea allo stato di diritto e al rispetto delle libertà” pur comprendendo che la Turchia sia “scossa” da quanto successo. L’amministrazione Obama è tornata anche a lanciare un messaggio chiaro rivolto a tutto il governo di Erdogan: voci di un coinvolgimento degli Stati Uniti nel tantativo di colpo di stato “sono false” così come lo sono i report secondo cui Washington sapeva quanto stava per succedere in Turchia. Ad Ankara “lo devono capire perché a rischio è un’alleanza cruciale tra Usa e Turchia”. Quanto alla decisione sull’estredazione dell’imam turco Fethullah Gulen, chiesta agli Usa dalla Turchia, “non sta al presidente”, ha spiegato Obama. Il presidente ha aggiunto di avere detto ad Erdogan – che ha accusato Gulen di avere orchestrato il golpe fallito di venerdì scorso – “di presentare agli Stati Uniti le prove del coinvolgimento” dell’imam un tempo stretto alleato del leader turco e ora il suo nemico numero uno; il 77enne vive in un auto-esilio in Pennsylvania dal 1999. Gulen ha negato ogni coinvolgimento nel colpo di stato e anzi ha rigirato l’accusa al Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) di Erdogan.